Finanziarizzazione della casa e austerità, nel Sud Europa e oltre

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Se qualcuno decidesse di scrivere una storia dei termini che sono passati con più rapidità da conversazioni di nicchia al palco globale, dovrebbe certamente occuparsi di finanziarizzazione. La crisi finanziaria del 2007/2008 ha mostrato al mondo gli effetti della progressiva espansione di logiche e attori finanziari in settori sempre più ampi di società ed economia. Improvvisamente, il ciclo di finanziarizzazione del capitalismo globale iniziato grosso modo negli anni ’70, a seguito della crisi del petrolio, ed evoluto mano nella mano con la diffusione di idee e politiche neoliberali era diventato visibile attraverso lo scoppio della sua bolla principale, quella dei mutui.

    Negli anni precedenti, enormi quantità di mutui particolarmente rischiosi – negli USA definiti subprime – erano stati erogati in favore di famiglie di classi medio-basse e basse: solo attraverso quei mutui, infatti, larghe fette della popolazione avevano potuto accedere al mercato della casa in paesi dove il welfare abitativo era residuale e tutti gli incentivi spingevano verso la proprietà – parliamo soprattutto di Stati Uniti, Spagna e Irlanda, ma, in misura progressivamente maggiore negli anni ’90 e primi ‘00, un po’ tutti i paesi europei. Solo che quei mutui funzionavano con meccanismi – sopratutto i tassi variabili – che rendevano molto alto il rischio di insolvenza. Nonostante questo, le agenzie di rating avevano sempre valutato come estremamente sicuri gli strumenti costruiti su quei mutui – generalmente, la cartolarizzazione, ovvero l’impacchettamento dei loro flussi di cassa per emettere titoli obbligazionari. Il risultato era stato che i mutui erano diventati la base di un immenso castello di carte, dove ogni strumento finanziario funzionava da asset per emetterne uno nuovo che gli stava in cima. Come tutti i castelli di carte, appena l’aumento dei tassi di interesse fece sì che abbastanza famiglie smettessero di pagare, venne giù tutto.

    Con la crisi finì un ciclo, durato una quarantina d’anni, basato sulla casa di proprietà e i mutui facili, che legava in maniera particolarmente intensa un preciso modello di sviluppo urbano – suburbanizzazione e casa di proprietà – con i nuclei del capitalismo finanziario globale. Insomma, il ciclo di finanziarizzazione della casa centrato su mutui e cartolarizzazione era stato, prima, centrale alla crescita economica e, poi, aveva prodotto una crisi che da finanziaria divenne economica.

    Se la crisi economica era stata causata principalmente dalla finanziarizzazione della casa, la cosa più razionale da fare sarebbe stato separare la casa dalla finanza. Come sappiamo, non è andata così.

    Se la crisi economica era stata causata principalmente dalla finanziarizzazione della casa, la cosa più razionale da fare sarebbe stato separare decisamente la casa dalla finanza. Si trattava, in fondo, di fare quel che gli stati europei avevano iniziato a fare durante gli anni ’50 e ’60, ovvero politiche universalistiche che facessero della casa un diritto più che un bene di scambio: promozione diretta di case pubbliche, supporto a cooperative e altre forme private fuori dal mercato, regolamentazione dei prezzi della casa. Politiche che estraggono la casa dai mercati finanziari.

    Come sappiamo, non è andata così. I costi della crisi, specialmente in Europa, sono stati “redistribuiti”, per così dire, attraverso i salvataggi delle banche e le politiche di austerità. Attraverso i salvataggi, il pubblico si è accollato i deficit del sistema finanziario – le banche erano “troppo grandi per fallire”, si disse. E, attraverso l’austerità, le classi meno ricche si sono accollate i debiti fatti dallo stato per salvare le banche – un processo che la geografa greca Kalliopi Sapountzaki ha brillantemente definito il trasferimento della vulnerabilità economica dalla finanza allo stato, e da lì alle fasce più deboli della popolazione.

    E la finanziarizzazione della casa? Semplice: le politiche di austerità hanno incentivato, quando non esplicitamente promosso, una miriade di forme di finanziarizzazione. Proviamo a vedere quelle principali, utilizzando un quadro concettuale che ho sviluppato con Myrto Dagkouli-Kyriakoglou per un report commissionato nel 2020 dal Gruppo della Sinistra al Parlamento Europeo sui quattro paesi sud europei (Portogallo, Spagna, Italia, Grecia) – un quadro che mette ordine in un campo molto complesso, cercando di ovviare alla poca chiarezza analitica di cui sono spesso accusati gli studi della finanziarizzazione. Proprio per fare chiarezza, è utile a questo punto definire precisamente cosa intendiamo per finanziarizzazione della casa. Si tratta di due processi: da un lato, la penetrazione di attori finanziari (banche, assicurazioni, fondi…) nel mercato della casa; dall’altro, l’utilizzazione di strumenti finanziari nel sistema abitativo (nel mercato privato, nelle politiche pubbliche, nelle pratiche del no-profit…).

    Abbiamo visto come il debito acquisito con i mutui e la sua cartolarizzazione, che hanno portato attori e strumenti finanziari nel mercato della casa di proprietà, siano le due modalità di finanziarizzazione prevalenti nel pre-crisi. Nel report abbiamo identificato altre tre modalità, che, nel Sud Europa, erano relativamente marginali prima del 2007, e sono in rapida crescita da allora.

    Primo, la finanziarizzazione della casa popolare o sociale, ovvero delle abitazioni promosse direttamente dallo stato o da altri enti no-profit per l’affitto a canoni moderati, una modalità nella quale l’Italia e la Regione Lombardia sono “pioniere”. Già da prima della crisi, la Regione Lombardia aveva sviluppato tutta una serie di partenariati con la finanza (sopratutto le fondazioni bancarie) per promuovere forme di abitazione, il cosidetto “housing sociale”, che stanno nel mercato con criteri di promozione sociale. Si tratta sopratutto di residenze per gruppi specifici, come anziani o persone in situazione di vulnerabilità sociale, che possono anche essere usate dai comuni per risolvere questioni di emergenza abitativa. Dovendo generare profitto, l’housing sociale non può garantire unversalità dell’accesso alla casa – molto semplicemente, i poveri non possono accedervi – e dovrebbero essere complementari alla casa popolare o sociale “tradizionale”. Il problema è che il modello, diventato nazionale, ha progressivamente sostituito altri canali di promozione, soprattutto dopo la crisi, con i Piani Casa del 2007 e 2014 – lo stesso PNRR, nella versione modificata dal governo Draghi, ha eliminato i pochi fondi per la casa pubblica previsti dal governo Conte II e li ha orientati verso l’housing sociale. Il meccanismo è quello del trasferimento verso il basso dell’austerità: i tagli alle amministrazioni locali obbligano queste a ricorrere agli accordi coi privati – per i quali, però, sono disponibili ricchi fondi nazionali. Il risultato è una politica della casa sempre più diseguale – le fondazioni bancarie sono attive quasi esclusivamente al Nord e l’housing sociale è inesistente al Sud –, poco centrata sulla risoluzione dei problemi più pressanti e molto centrata sul profitto per gli operatori finanziari.

    Molte altre politiche, direttamente e indirettamente legate alle politiche di austerità, hanno promosso la finanziarizzazione

    Secondo, la finanziarizzazione del mercato degli affitti, collegata alle politiche di austerità in maniera meno diretta. Cruciale per la finanziarizzazione sono state le liberalizzazioni degli affitti (la fine delle politiche di equo canone, la riduzione delle protezioni agli inquilini), che hanno reso i mercati più appetibili per i grandi investitori. In Portogallo, la legge del 2012 che ha portato a compimento la liberalizzazione  è stata esplicitamente imposta nel contesto delle politiche di austerità associate al pacchetto di aiuto finanziario garantito dalla troika (Banca Centrale Europea, Commissione Europea, Fondo Monetario Internazionale).

    Terzo, la finanziarizzazione di unità abitative estratte dal mercato della casa e usate per altri fini, e principalmente il mercato turistico (forme di affitto a breve termine mediate da piattaforme come AirBnb) o la pura speculazione (case mantenute vuote e usate come asset finanziari). Durante e dopo la crisi, molte unità abitative sono state riconvertite in unità turistiche – contribuendo all’aumento dei prezzi della casa per residenza di lungo termine. Se, in una prima fase, questo è stato anche un meccanismo con il quale le classi medie si sono difese dagli effetti della crisi e dell’austerità, è stato più recentemente osservato come il mercato dell’affitto a breve termine sia sempre più concentrato e penetrato da attori finanziari, sopratutto in Spagna e Portogallo. In Portogallo, la liberalizzazione del mercato è stata promossa negli anni dell’austerità come meccanismo di rilancio dell’economia. Anche l’uso di case vuote come puro investimento finanziario è stato promosso da politiche, approvate negli anni dell’austerità, per attrarre investimenti stranieri.

    Molte altre politiche, direttamente e indirettamente legate alle politiche di austerità, hanno promosso la finanziarizzazione della casa nelle tre modalità. Il caso più rilevante è il salvataggio del sistema finanziario spagnolo, che ha portato a una estrema concentrazione della proprietà della casa, trasferendo centinaia di migliaia di abitazioni, sia quelle pignorate nel contesto della crisi dei mutui, sia quelle a canone moderato detenute da privati (una forma di promozione che era piuttosto comune in Spagna), a grandi investitori, inclusi i cosidetti “fondi avvoltoio”, quasi tutti nordamericani.

    L’austerità, quindi, è stata fondamentale per l’emersione di un nuovo ciclo di finanziarizzazione della casa, meno centrato su mutui e casa di proprietà, e più centrato sul affitto e concentrazione della proprietà nelle mani di attori finanziari transnazionali. Allo stesso tempo, le traiettorie di finanziarizzazione della casa dimostrano come le politiche di austerità, discorsivamente promosse come risposta alla crisi, si siano in realtà progressivamente trasformate in un nuovo modello di gestione della relazione tra diritti (in questo caso, quello alla casa), stato e cittadini, sempre più mediata dalla finanza – una riflessione che si può facilmente estendere ad altri settori dell’economia e della vita sociale. D’altronde, come ha mostrato Giovanni Arrighi, la finanziarizzazione è un processo ricorrente dello sviluppo capitalista, associato strutturalmente a fasi di trasformazione delle relazioni di potere globali. Se la finanziarizzazione della casa è un fenomeno nuovo, insomma, essa è una versione di processi di lunghissimo termine, e mostra sopratutto il divenire centrale dello sviluppo urbano per l’economia globale.

    Allo stesso tempo, è un segnale di cambiamenti molto profondi, che possono prendere traiettorie molto differenti. È una questione politica, insomma: i movimenti sociali lo hanno capito benissimo ed è intorno alla casa, e la sua finanziarizzazione, che si concentrano sempre più forme di conflitto.

    Note