E se Spotify fosse nato a Napoli?

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    In tanti, in queste settimane, si saranno affacciati nelle sale cinematografiche per vedere “Mixed by Erry”, il nuovo film di Sidney Sibilia. Un’opera divertente, il cui soggetto è ispirato, seppur con qualche licenza artistica, alla storia dei fratelli Enrico, Peppe e Angelo Frattasio.

    Se non siete napoletani, questo cognome non vi dirà nulla. Se siete napoletani, potrebbe non dirvi molto lo stesso, ma, se siete approdati agli anta, non potete ignorare il marchio Mixed by Erry. Se lo ignorate, probabilmente non siete veramente napoletani.

    Mixed by Erry è la sigla dietro cui si celavano, se ci fermiamo alle cronache giornalistiche, i più grandi contraffattori partenopei di dischi (prima) e cd (poi). Un volume di affari di centinaia di milioni di lire, una rete capillare che, partendo da Forcella, uno dei quartieri napoletani “difficili” per antonomasia, si era diffusa in tutto il centro Sud.

    Non dirò altro, per non anticiparvi quello che potrete vedere al cinema e leggere nelle pagine del bel volume, dedicato di fratelli Frattasio, scritto da Simona Frasca. Però, la storia di questi “pirati” – come semplicisticamente vennero bollati – dovrebbe insegnare molto all’industria della musica e, in generale, della cultura.

    La prima volta che ho incontrato Enrico “Erry” Frattasio, mi ha detto con un sorriso dolce: “Professò, io sono un algoritmo vivente”. Enrico ha ragione e questo è il primo motivo di meraviglia per chi si accosta a questa storia: le cassette vergini duravano più degli LP e, allora, Enrico ha un’idea, a suo modo geniale, quella di riempire i vuoti con brani di artisti simili. Compro una musicassetta contraffatta dei Bee Gees e, alla fine, anziché sentire il ronzio del nastro vuoto, partono tre o quattro canzoni degli ABBA. È probabile – questo il ragionamento che fanno Enrico e i suoi fratelli – che, se mi piacciono i Bee Gees, mi potrebbero piacere anche gli ABBA. E, se gli ABBA davvero mi dovessero piacere, è probabile che tornerò per acquistare anche la loro musicassetta. Al termine dell’album degli ABBA, forse ci saranno dei brani di Elton John e, se mi dovesse piacere anche questo artista, prenderò anche la sua musicassetta e così via, fino (quasi) all’infinito.

    Non è difficile scorgere il meccanismo che, oggi, a distanza di quarant’anni, muove gli algoritmi di YouTube o di Spotify. Ci erano arrivati tre ragazzini napoletani, con umili origini, ma con una solida cultura musicale.

    Eppure, le analogie non si fermano qui. Enrico è innanzi tutto un DJ, professione che esercita ancora e che rivendica orgogliosamente. Capisce, insieme ai fratelli Peppe e Angelo, che il mercato può essere segmentato e che i prodotti personalizzati valgono più di quelli generici. Nascono così le compilation, fatte all’inizio per gioco, come facevano tutti i ragazzini cresciuti negli anni Ottanta, che poi diventano sempre più ricercate. Ancora una volta, la mente va agli algoritmi: il caso classico è il ragazzo, disposto a pagare una cifra più alta di quella per la “normale” musicassetta, che ordina a Erry una compilation per la propria amata. Duplicare una musicassetta è compito banale, che sanno far tutti; trovare le analogie musicali tra i brani preferiti di un’adolescente e quelli da scoprire è compito del DJ. Serve conoscenza, ma anche sensibilità musicale, che Enrico vende prima ai coetanei del rione e poi, man mano, a tutti i nuovi clienti.

    Mixed by Erry duplica qualsiasi disco, dai successi sanremesi al rock d’autore, passando per la musica sacra e arrivando, immancabilmente, alla musica napoletana. Proprio i neomelodici, espressione ultima della canzone napoletana, devono molto ai fratelli di Forcella, che, con le loro compilation, inventano un nuovo prodotto, inserendo, accanto ai nomi più celebri (Nino D’Angelo, Gigi D’Alessio, Ciro Ricci), interpreti nuovi, che vanno a popolare l’underground ignoto alle classi borghesi cittadine, ma idolatrato nei quartieri popolari. Un mercato “altro” che, di nuovo, funziona per mezzo dell’accostamento stilistico, determinando l’emersione di nuovi artisti.

    C’è però un’altra caratteristica dell’industria culturale, che chi scrive, cresciuto nella provincia meridionale, conosce bene. Internet ha facilitato, forse addirittura banalizzato, la circolazione delle opere. Un tempo, prima del nuovo millennio, erano tanti i paesini senza negozi di dischi, nei quali la musica arrivava solo grazie alla radio. La radio che, peraltro, passava sempre la stessa musica commerciale, mortificando la curiosità dei giovani cresciuti nella periferia dell’Impero.

    Mixed by Erry, grazie a una rete e a una distribuzione capillare, arrivava dove gli altri non potevano o non volevano arrivare, popolando le bancarelle delle feste di paese con le ultime uscite sanremesi, con le compilation dei neomelodici, ma, al tempo stesso, con musica meno nota (almeno in quei luoghi), avviando tanti giovani al rock, alla new wave, al funk. Sia chiaro: non voglio giustificare la contraffazione. Però bisogna essere onesti intellettualmente e riconoscere ai fratelli Frattasio i loro meriti, anche culturali.

    A questo proposito, la visione del film e la lettura del libro mi hanno riportato alla mente due episodi, legati alla mia esperienza accademica (e di questo mi scuserà chi legge) e a due conferenze. Per ragioni di garbo, non farò nomi e cognomi, ma mi limiterò a raccontare i fatti.

    La prima conferenza, sulla pirateria nel mondo della musica, si tenne ai tempi di eMule e del peer-to-peer. Quando toccò a me, mi limitai a osservare la miopia del mondo della discografia che, in un’epoca in cui erano già diffusi gli MP3, continuava a voler produrre interi dischi, anche per gli artisti emergenti. Chiunque partecipasse a Sanremo Giovani doveva avere diritto a un intero CD, con 13 o 14 canzoni spesso bruttine, sebbene si fosse imposto all’attenzione nazionale con un solo brano.

    In quella occasione, sfociai in un campo non mio, contravvenendo a una regola che ho sempre praticato, che è quella di non invadere altri settori, per non mancare di rispetto a chi si presume conosca meglio di me quei settori. In via del tutto incidentale, dissi che ero meravigliato dalla staticità della produzione discografica, che continuava a produrre CD e investiva poco nel digitale. La storia che venne di lì a poco è nota, con l’avvento prima di YouTube, che allora muoveva i primi passi, e poi di Deezer, Spotify e Co., nati anche grazie ai costi di licenze che furono cedute a prezzi molto bassi.

    La seconda conferenza, invece, fu sul cinema. Da utente, perché ho studiato un po’ di diritto d’autore, ma poco (almeno in maniera ordinata) della produzione culturale, dissi che mi sorprendeva che vi fossero decine di film che non arrivavano nelle sale cinematografiche e che nessuno avesse pensato a una piattaforma che consentisse di vedere questi film privi di distribuzione o di portare gli altri film, quelli beneficiati dalla distribuzione, anche nei posti in cui non c’erano cinema (che erano e sono ancora tanti).

    In entrambi i casi, fui tacciato – e ancora mi domando il perché – di essere amico dei “pirati” e di non capire le logiche della produzione culturale (che, infatti, ancora in gran parte mi sfuggono).

    Leggere la storia dei fratelli Frattasio mi ha riportato alla mente questi due episodi. Anche loro, come me, non hanno studiato i meccanismi della produzione culturale. Eppure, loro hanno capito, prima e meglio di tanti altri, come si sarebbe sviluppato il mercato della musica. Forse, e queste erano le mie conclusioni in entrambe le relazioni, anziché investire ingenti risorse nell’anti-pirateria, bisognerebbe dirottarle verso l’innovazione tecnologica della cultura. E, sempre forse, osservare con attenzione questi fenomeni, perché potrebbero insegnarci molto sugli scenari futuri.

     

    Immagine di copertina: I tre fratelli Frattasio in una scena del film da Wikipedia

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