Alla ricerca della vita semplice: non più apprendimento, ma trasformazione

Ogni settimana in collaborazione con la casa editrice nottetempo, cheFare pubblica una serie di interventi di filosofi, antropologi sul mondo naturale. Dopo mesi di reclusione forse è il caso di provare a capire che mondo abitiamo e soprattutto imparare a conoscerlo meglio. Oggi pubblichiamo un estratto dal nuovo saggio di Leonardo Caffo (da oggi in uscita in libreria), Quattro capanne o della semplicità.

Lo spirito del tempo impone una riflessione piuttosto urgente sui modi di vita alternativi a quello più diffuso perché, se ci fermiamo a osservarlo, lo scenario che abbiamo davanti non è per nulla rassicurante.

L’età media mondiale si abbassa di nuovo, lo stress è quasi naturale, le malattie aumentano, i climi si ribellano all’uomo, il mondo trema e suggerisce troppo spesso l’immagine di un abisso.

La semplicità, come tecnica di sottrazione del fare, sembra essere una soluzione tutta interna all’Oriente tradizionale di cui è poi specchio la passione imitativa, spesso ingenua se non ridicola, dell’Occidente contemporaneo. Sono sorti così lo yoga tra un aperitivo e l’altro, la meditazione porta a porta, addirittura le musiche tibetane da ascoltare la mattina prima di andare in azienda. […]

È sbagliato guardare a un Oriente ormai inesistente, tranne che nelle sue sacche piú isolate, se è la semplicità che vogliamo comprendere; esistono delle storie occidentali, più inserite all’interno dei nostri parametri culturali e quotidiani, che possono insegnare molto e che meritano una filosofia applicata alla risoluzione di un problema pratico ed enorme: l’uscita dalla prassi […]

Innanzitutto, un’intuizione: nessuna teoria filosofica è tale se non viene testata attraverso una pratica di vita. Una “pratica di vita”, per essere tale, deve essere totalmente avvolgente: non si tratta di fare qualcosa nel “tra” delle cose quanto, piuttosto, di essere quella stessa cosa. […]

Una trasformazione dell’esistenza non può che essere un processo radicale: delle nuove forme di vita, attraverso dei nuovi spazi per la vita.[… ]

Il primo non detto di questo viaggio nella semplicità riguarda, ancora una volta, il valore della ricerca filosofica: non una forma di apprendimento, ma una trasformazione delle cose stesse. Le cose non si apprendono, si prendono, diventando parte di noi. […]

Un acronimo ormai abbastanza diffuso è IOT: Internet of things . Si tratta del modo in cui viene identificata l’estensione di internet al dominio delle cose, degli oggetti quotidiani ma anche dei luoghi fisici – una rete non più soltanto metaforica ma fisica, che rende gli oggetti dotati di un’intelligenza più o meno forte, grazie al fatto di poter comunicare dati attraverso noi stessi accedendo a informazioni aggregate da parte di altri.[…]

E se la rete prendesse il sopravvento? La profezia di Stephen Hawking nota come “Singularity” avvicina più del previsto la letteratura fantascientifica di Philip K. Dick alla realtà: potranno un giorno le macchine evolversi fino a mettere in scacco le nostre volontà?

A me in realtà questo scenario, abbastanza inverosimile, interessa poco; ciò che trovo interessante riguarda invece l’impossibilità di una vita semplice e genuina nel dilagare di una rete che si è trasformata da strumento di consumo a consumo dei suoi stessi strumenti (noi).

Questo scenario, previsto in misura diversa tanto da Thoreau che da Kaczynski, potrebbe portare alla progettazione di spazi volti a “scollegarsi”. […]

Il valore dell’esempio, del caso che mostra una possibilità in atto e non piú in potenza, è quello che ho proposto di chiamare teoria “anticipazionista” nell’estetica applicata: fare ora ciò che si propone come teoria del domani. […]

E qui, per adesso nascosto ma ovviamente da esplorare come si deve, emerge un altro tassello di una diversa idea di filosofia: per testare un argomento non bastano logica o verificabilità ma è necessario, ove possibile, metterne in pratica immediatamente le diverse conseguenze.

Questo discende, come implicazione conversazionale, da quanto afferma Ludwig Wittgenstein nel Tractatus: “Nella logica non possono mai esservi sorprese” − dunque solo nella vita di tutti i giorni, e nelle sue pratiche, è possibile il campo di sperimentazione della filosofia (il nostro laboratorio, verrebbe da dire).