L’algoritmo e la fine del pubblico. Eco-chamber, neo totemismo ed etica della funzione
Pubblichiamo un dialogo tra Francesco Monico, Docente di Sociologia del Cambiamento e Filosofia della Tecnica Isia di Roma e Direttore Accademia Unidee della Fondazione Pistoletto, Biella e Derrick de Kerckhove, Professore Emerito Letteratura Francese Università di Toronto
Il dialogo si è tenuto in occasione del Convegno di ricerca Public! Organizzato da Accademia Unidee – Fondazione Pistoletto e curato da Francesco Monico, Michele Cerruti But, Paolo Naldini, e che si è tenuto il 30 giugno e 1° luglio 2022 presso la sede dell’omonima accademia a Biella.
Francesco Monico: Il pubblico è un tema che appassiona tutti, come dice Bruno Latour è un matter of concern. Il pubblico è una comunità intorno un tema comune, perché in quanto animali narrativi siamo sincronizzati da una narrativa pubblica e il valore del pubblico è proprio questo valore di sincronizzazione sociale. Però nell’epoca della tecnica le tendenze dei media diventano egemoni e così oggi c’è un processo di disincronizzazione sociale attraverso la moltiplicazione della verità che c’è nei social media e quindi viene meno quella narrativa comune che generava il pubblico.
Derrick de Kerckhove: Direi che il problema è che il pubblico in quanto tale non esiste più! Il pubblico dipende dalla condivisione del linguaggio e delle parole, dall’incontro con gli altri, che si tratti di discussioni in grandi o piccoli gruppi. Ma nelle comunità tribali, anche se la lingua era condivisa e “sincronizzava”, come dici tu, la coesione sociale, non c’era un “pubblico” perché le persone erano unite dalle relazioni, non dall’occupare lo stesso spazio. Nelle comunità tribali non esisteva uno spazio “privato”. Lo spazio mentale, i bisogni, le preoccupazioni, le ansie, le gioie, le celebrazioni, tutto era condiviso dall’intera comunità in una sorta di ‘mente comune’. Il pubblico dipende da una chiara divisione tra uno spazio pubblico comune occupato da un numero qualsiasi di persone che a loro volta occupano uno spazio privato individuale. Il pubblico, come sostieni, è sincronizzato dalle narrazioni, cosa che avviene anche nelle comunità tribali, ma è definito dalla natura dello spazio che le persone occupano, cosa che non avviene nelle tribù. Nella cultura occidentale esistono due tipi principali di spazio (in altre culture, come in tutti i tipi di tribù, questo è completamente diverso): lo spazio pubblico e lo spazio privato. L’uno non esiste senza l’altro. Se le persone nel loro spazio mentale privato non sono più d’accordo con altri spazi privati, o perché non si parlano o perché il linguaggio non ha lo stesso significato per entrambe le parti, la coesione sociale viene meno. E fondamentalmente questo è ciò che sta accadendo oggi.
Il rapporto tra spazio pubblico e privato è una stretta distinzione tra l’oggettività della realtà esterna supportata dal linguaggio e la soggettività dello spazio privato interno. L’oggettività permette alle persone – con lo stesso linguaggio – di concordare su ciò che è reale e ciò che non lo è. Allo stesso modo, la soggettività permette qualsiasi tipo di fantasia, immaginazione o teoria. Nel mio pensiero posso avere ragione o meno, ma c’è una “realtà” al di fuori di me che esiste indipendentemente da me. In Occidente non è più così. Usiamo ancora le stesse parole, ma non hanno più lo stesso significato.
Il problema che ne deriva è la de-coesione sociale. Invece di un sistema di parole e dichiarazioni pubbliche che coinvolgono il diritto, la scienza o un giornalismo responsabile, da parte di autorità che riportano fatti e li supportano con prove rispettando un rapporto stretto con la realtà, oggi ci si rivolge a individui che vivono nella loro “eco chamber” raccogliendo notizie che non sono in grado di giudicare per mancanza di istruzione e analfabetismo funzionale. Allo stesso tempo, però, sono in grado di diffonderle immediatamente in modo virale. La decoesione sociale non riguarda quindi solo le notizie false, ma la velocità stessa di circolazione di informazioni non verificate da parte di un pubblico assolutamente non interessato a verificarle. Gli studi dimostrano più volte che il pubblico non esiste più perché le argomentazioni storiche e scientifiche non sono più in grado di creare un accordo sociale. Lo spazio pubblico di oggi è una frammentazione del tipo di spazio pubblico che era dato per scontato prima dell’arrivo di Internet laddove la dimensione pubblica si basava sul rapporto indiscusso tra linguaggio e realtà. Questo rapporto non è più stabile a causa della digitalizzazione e dell’avvento degli algoritmi, che è il grande cambiamento avvenuto negli ultimi trent’anni. Come abbiamo visto con Cambridge Analytics e i suoi effetti sulla Brexit e sull’elezione di Donald Trump, gli algoritmi hanno polarizzato l’opinione e trasformato il “pubblico” in tribù, cercando e trovando persone con opinioni emotive piuttosto che razionali e fornendo a ogni individuo ciò che voleva leggere, racchiudendo letteralmente ogni soggetto in una narrazione specifica e particolare contrapposta a quelle degli altri.
FM: Infatti mi colpisce il venir meno della sincronizzazione sociale, in una società in cui c’era un medium o un’insieme di media egemoni, le persone diventavano adulte allo stesso modo attraverso quelli che erano i grandi riti di passaggio, come dice Victor Turner, dal rito al teatro, le persone non erano quelle che erano state senza essere ancora quelle che saranno, erano dei ‘liminoidi’ e tutti si muovevano in una forma di sincronizzazione tramite questi dispositivi.
DdK: Certo la sincronizzazione è una idea eccellente che si completa con la coesione sociale classica che dipende dal condividere il medesimo spazio. La sincronizzazione dei media era come un coro a più voci fatto da tv, radio e giornali che generalmente erano uniformi perché gestite da un linguaggio comune. Con gli algoritmi no, perché se l’algoritmo produce il linguaggio, non lo usa per produrlo. Penso alla traduzione automatica che si basa su frequenze statistiche per tradurre – abbastanza bene – centinaia di lingue senza conoscere o capirne una. La grande differenza fra linguaggio e algoritmo è che il primo è basato sul senso e sull’interpretazione, e l’algoritmo no.
FM: Per duemila anni l’uomo ha visto i numeri come espressione di grandezze; nel 1591 Francois Viète de la Bigotière introdusse la numerazione mediante le lettere dell’alfabeto (Viète usava le consonanti per le incognite e le vocali per le quantità supposte note). Fu una variazione che fece nascere il concetto di funzione e relegò in secondo piano l’idea dei numeri come grandezze astratte. Infatti a differenza del numero la variabile non ha un valore indipendente, una variabile ha valore solo in rapporto con un’altra variabile esattamente come il principio figura/sfondo della Gestalt. Il concetto di funzione è il rapporto tra le variabili ed è espresso come una equazione (ma non è il solo modo). Le funzioni diventano segni per un nesso. A questi segni manca il carattere della grandezza, della forma, sono segni per un’infinità di situazioni possibili di uno stesso tipo che solo se comprese come unità sono numero. Il nesso da comprendere è il parallelismo che esiste tra l’esplicitazione matematica del concetto di funzione e il riconoscimento in psicologia del concetto di relazione. Le ricerche sul cervello e sugli organi sensoriali hanno dimostrato che noi possiamo percepire soltanto le relazioni e i modelli delle relazioni in cui si sostanzia la nostra esperienza. Se sperimentalmente blocchiamo il movimento dell’occhio in modo che la stessa immagine continui a essere percepita dalle stesse zone della retina non riusciremo più ad avere una chiara percezione visiva. Allo stesso modo è difficile percepire un suono costante e regolare che tenderà a diventare impercettibile. Se vogliamo farci un’idea tattile di una superficie, della trama della superficie, non è sufficente appoggiarci sopra un polpastrello ma bisogna farlo scorrere avanti e indietro, perchè se non lo muoviamo non possiamo prendere nessuna informazione utile, fuorché probabilmente sulla temperatura che d’altronde dipende dalla differenza esistente tra la temperatura dell’oggetto e quella del dito. Sensazioni, percezioni, appercezioni, attenzione, memoria e molti altri concetti possono essere visti come funzioni. Questo dimostra che le percezioni implicano un processo di cambiamento e/o di movimento. La percezione è quindi una relazione che è identita al concetto matematico di funzione. Ne consegue che la sostanza delle nostre percezioni non è costituita da cose ma da ‘funzioni’; e le funzioni non sono grandezze isolate ma ‘segni per un nesso…per un’infinità di situazioni possibili di uno stesso tipo…” E se le cose stanno così allora il processo di realtà in cui l’uomo è coinvolto, cioè la consapevolezza che l’uomo ha di sé stesso, è sostanzialmente una consapevolezza delle funzioni, delle relazioni (oggettuali e culturali) in cui si trova coinvolto. E’ uno schema figura/sfondo. Le tecnologie basate sul linguaggio, come la Radio e la Tv, possono “incorniciare” il cervello sia fisiologicamente, sul piano dell’organizzazione neuronale, che psicologicamente, sul piano dell’organizzazione cognitiva. Altre tecnologie – come i satelliti e le reti telefoniche – sono divenute dei prolungamenti del cervello e del sistema nervoso centrale. Queste tecnologie creano delle strutture che “incorniciano” il sistema. Oggi il sistema umano è incorniciato dalla funzione algoritmica, essa è una formula matematica che porta sempre a un risultato e facendo ciò dà ai pubblici quello che ogni pubblico vuole sentirsi dire.
E questo è il presentarsi dello chthulucene di Donna Harraway, Cthulhu il mostro della profondità di Lovecraft, un mostro ctonio, e come nella biologia c’è l’alleanza del bioma e del viroma con noi ma potrebbe anche esserci un annientamento da parte dei batteri e virus, allo stesso modo noi ora potremmo avere una coesistenza con gli algoritmi senza accorgercene, ma domani questi stessi algoritmi potrebbero annientarci. Questi ‘algoritmi pubblici’ possono essere la nostra salvezza come il bioma e il viroma come la nostra fine come nel caso di un virus. E Donna Haraway con la sua classica capacità di visione ha prodotto una bellissima metafora quando definisce lo chthulucene, una metafora che il mondo della cultura non ha ancora del tutto compreso. Ora il mondo si definisce come antropocene, che è creato dal capitalocene, ma in realtà siamo nel chthulucene, una nuova epoca in cui il pubblico è un algoritmo oscuro, un mostro ctonio e misterioso che ci governa senza che ce ne accorgiamo e che ha messo in crisi la sincronizzazione della società e abolito gli spazi che creavano l’uomo pubblico. Quindi la domanda è che tipo di uomo pubblico ci sarà? Un uomo pubblico non più unico, tanti pubblici, tante realtà?
DdK: Ci sarà il tribalismo del pensiero, di conoscenza poco colta, poco realizzata. Il tribalismo dell’opinione pubblica è quello che avviene oggi, l’associazione delle ‘eco chambers’ che è quello che prenderà il posto della coscienza individuale, ben educata, ben nutrita e anche della coscienza religiosa in parte. Non a caso la religione cristiana è la rappresentazione dell’individualità umana a partire dalla scrittura alfabetica. E forse abbiamo bisogno di una nuova religione. La religione è un farmakon che ha creato coesione sociale, ma anche un profondo antagonismo tra le religioni e tra le scritture. Basti pensare alla scrittura meccanizzata, la stampa a caratteri mobili, ha portato a 200 anni di guerre. E non è sorprendente che anche oggi si viva una situazione mondiale di guerra perché l’adattamento alle novità tecnologiche porta sempre sostanzialmente a dei massacri per quanto sia tremendo dirlo. Vedo quello che avviene oggi come l’effetto del passaggio dal linguaggio che richiede interpretazione all’algoritmo che richiede solo sequenze di ordini, istruzioni tecniche. Una cosa da riflettere è che la parola senso in italiano, inglese (sense) o francese (sens) ha tre ‘sensi’: il primo è quello dei sensi, o funzioni sensoriali che si possono dire i primi ‘algoritmi’ di tutti comportamenti animali o umani: tutti gli animali hanno dei sensori che gli indicano cosa fare rispetto all’ambiente in cui sono. I sensi sono stati il primo senso del senso. Il secondo è ‘semantico’ e arriva con il linguaggio, come lo spiega bene Giambattista Vico. Il linguaggio riprende la funzione algoritmica del senso, allargandola per gestire situazioni sempre più diversi e definire rapporti sempre più complessi tra gli umani. La traduzione del linguaggio in codice binario ha dato priorità alla funzionalità, terzo senso di senso ovvero la direzione potremmo dire la trazione. La cosa interessante da capire è che l’algoritmo ritiene questo senso, ma non gli altri. L’algoritmo è solo un sistema di istruzioni/trazioni costruite per mezzo dei big data. Stiamo andando verso una situazione epistemologica straordinaria. Vedo una situazione in cui la conoscenza che dipende dall’interpretazione delle parole non è più necessaria per cambiare le situazioni e lo sarà sempre meno. Ormai abbiamo tutti i benefici dell’intelligenza artificiale che ci permette di giudicare la pertinenza di un investimento, di un diagnostico, di un verdetto giuridico, cose vitali per la società, tutto questo ormai sono doni di un sistema che non passa più per la parola o per l’interpretazione.
FM: Questo passaggio verso l’intelletto pubblico che non è più intenzionale sembra molto il passaggio dall’etica dell’intenzionalità creata dalla cultura greco cristiana ad un’etica della funzione che è invece propria del pensiero calcolante razionale e tecnologico. Quindi siamo di fronte a questo nuovo pubblico che è un pubblico meramente funzionale; quindi, o accettiamo questa nuova dimensione pubblica, che sarà neo tribalista, oppure dovremo mettere in discussione le basi stesse della nostra cultura. Bisognerebbe così far assurgere gli studi culturali a dei veri e propri strumenti operativi per decidere che tipo di umano vogliamo essere cosa che per altro non è mai stata fatta dalla cultura umana.
A me pare che questo populismo sia una endiade creata dalla versione egemone della storia che loda ogni aspetto della globalizzazione. Non voglio entrare in questo accusa di tribalismo verso i populismi. Quello che a me sembra molto in linea con l’etica della funzione è questa nuova celebrazione dello stakeholder capitalism, un XXI secolo caratterizzato dalla sostituzione della sfera pubblica dei governi con un nuovo pubblico gestito dalle corporation private e globali. Questo genera una sorta cultura pluto-demo-burocratica molto neo americana che si fonda su zelanti memi ideologici che prestano le proprie tendenze a una narrativa fondata su una industrializzazione che si basa su una democratizzazione universale per cui si si sviluppano dei cicli di rinforzo di una teoria folcloristica di scienza sociale secondo cui una società è matura nella misura in cui sono le Corporation private a prendersene cura. Ecco questo a me fa molta più impressione. Perché il pubblico è uno spazio sacro di patteggiamento e non penso che il privato possa sostituirsi al concetto di sacro. Sono proprio due mondi separati. Quindi temo sempre che in questi anni venti del terzo millennio si faccia una grande fatica a lasciar andare le narrative del XX secolo ormai molto obsolete. Quindi creare un pubblico alternativo a quello che è stato quello del XX secolo potrebbe essere una strategia interessante
DdK: È un’idea sicuramente interessante, ma occorre fare un paragone tra la Cina e l’Occidente, perché la Cina ha inventato un modo di accogliere la trasformazione digitale che, con la pratica del Social Credit’, è stato di aumentare la sua tendenza millenaria di favorire la coesione sociale, l’armonia e la sicurezza della gente. Si può certamente discutere su quello che è accaduto a Hong Kong e sul trattamento riservato all’etnia Uiguri, ma la tendenza del governo è visibile anche nell’attaccare non tanto l’individuo che si comporta male, ma l’impresa che si comporta male. Questo è totalmente diverso dalla logica degli americani. I cinesi mantengono così un principio di coerenza sociale. Invece noi abbiamo fatto la stessa cosa con questi grandi enti da cui facciamo provenire la prossima etica. Ma la tendenza è solo quella di fare soldi usando giovani inconsapevoli, come avverrà anche con il metaverso. Ora se questo si chiama etica va bene, ma io non ci credo troppo. Il problema, secondo me è del tutto altro, dentro la fonte della responsabilità e delle motivazioni per rispettarla. L’etica -cristiana- occidentale basata sull’autodeterminazione sta passando a un sistema che l’elimina per dare luogo all’etero-determinazione del tipo cinese, ma senza il ruolo dello stato, solo quello dell’imprese.
FM: È vero che il capitalismo è rimasto dopo la caduta del muro di Berlino l’unico modello egemone che declina le nostre forme principali di vita, e quindi venuta meno la religione, venuti meno gli ideali etici, rimane il T.I.N.A. Il There Is Not Alternative. Invece adesso è anche molto interessante questa situazione che si è creata con la guerra in Ucraina che ha rotto il meccanismo egemone della globalizzazione diretta dal capitalismo anglo americano. Però è vero anche che oggi lo spazio pubblico si caratterizza intorno al clima come sistema di relazioni, il clima avrà infatti un grande impatto sulla costruzione del nuovo pubblico. Poi credo che prenderà forma il concetto di post-natura, siamo tutti qui a parlare di sostenibilità e la natura come primigenia non esiste più. I fiumi sono le grandi autostrade e i parchi sono dei giardini e poi anche la nuova costruzione con lo sprawl urbano con territori intermedi tra la città e la campagna e i grandi capoluoghi. Quindi noi siamo difronte ad una nuova ridecodificazione culturale e per ricodificarci dobbiamo decidere cosa fare con la funzione algoritmica pubblica e parallelamente aprirci a questi nuovi modelli di pubblico che arrivano da questo nuovo multicentrismo innescato dalla guerra Russo-Ucraina con le sue forme culturali molto più legate all’etica della funzione per sua tradizione e dall’altro a queste pressioni dell’ambiente come il clima, la post-natura e i territori intermedi.
DdK: Arrivo da una conferenza sulla natura come principio di base e questa è una direzione etica che mi interessa: l’idea che l’interazione e l’interpenetrazione di tutti i corpi con tutte le forme e materie, l’idea che negoziamo in ogni momento della nostra vita il nostro rapporto con il mondo. Sono d’accordo con te che la natura non è più stabile della natura del corpo e della mente umana, ma c’è un’unità fondamentale, ed è l’ecologia. C’è un’ecologia fondamentale che mette in sincronicità vari parametri per simulare e permettere di prendere sempre più decisioni pertinenti. Quando arriveremo a utilizzare computer quantici saremo in grado credo di organizzare un nuovo consenso dando le prove irrefutabili di una situazione che richiede la partecipazione di ognuno di noi. Amo molto il concetto di sincronizzazione, funziona molto bene con il mio modo di capire il pubblico, ma il problema è che non ci siamo ancora e che siamo ancora in una transizione di aggiustamento di tutta la cultura e non siamo ancora a un punto di stabilizzazione. Allora prendiamo Elon Musk che, come individuo prima ancora che come organizzazione, ha un’intenzione pubblica dichiarata di mettere la sua morale e la sua etica dentro un sistema che contiene una quantità fenomenale di persone. Quelli come lui sono i nuovi “cristi”, esattamente come Cristo era il grande attrattore del pubblico, che prendono il modo di essere il nuovo personaggio pubblico nel reale.
FM: Nella mia ricerca ho messo a punto un’antropologia che vede l’uomo come un essere aggressivo che viene spinto fuori dalla sua casa dalle pulsioni sessuali, ma soprattutto un essere sociale, noi passiamo il 90% del nostro tempo a decodificare segnali di appartenenza al gruppo e ci costa tantissimo in termini di energia psichica prendere la parola per dire qualcosa di contrario a quello che dice il pubblico. E poi siamo un animale narrativo, l’homo fictus che teorizzo anche in Fragile, (Meltemi, 2020). Quindi alla fine di fronte alla tecnica il problema del pubblico è in ultima analisi un problema di narrativa. E mi viene in mente il costruttivismo radicale di Einz Von Foerster e sopratutto di Ernst Von Glasersfeld, la teoria che sostiene che l’essere umano vive all’interno di storie e narrative proprie e chiuse che generano un ambiente condiviso che pur producendo una normatività in ultima analisi mantiene ognuno nella sua di storia. Quindi abbiamo bisogno da un lato di mantenere questa pulsione sessuale aggressiva in cui ci immaginiamo come personaggi di chissà quale avventura, dall’altro abbiamo necessità di uniformarci rispetto a quelle che sono le retoriche sociali e vivere tutti con queste storie una diversa dall’altra all’interno di parametri retorici. Quindi lo spazio pubblico funziona come una struttura retorica che pur generando un senso non possiede altro senso se non come struttura. Ovvero come relazione tra elementi interdipendenti secondo la regola che si comprende solo quello che ci comprende. Quindi abbiamo bisogno di un qualcosa che è la religione, che è l’ideologia o che sarà questo algoritmo pubblico quantico. Questo ‘qualcosa’ deve costruire le pagine del libro all’interno del quale metteremo le nostre infinite storie che saranno tutte una diversa dall’altra. Però per avere questo penso che sia necessario fare un bagno di realtà e pensare che il nuovo uomo pubblico non deve rinunciare alla sovranità tecnologica, a beni e risorse comuni informatiche, a pensare un’energia comune per il funzionamento delle macchine, quindi un’energia pubblica e soprattutto deve avere una formazione al pensiero tecnico perché in questa sorta di neo tribalismo ci sarà un neo-medioevo politico e un rinascimento culturale, e noi andremo incontro ad una società con delle élite culturali in grado di fare decostruzionismo del tessuto retorico e narrativo e poi dei volghi indifferenziati totalmente agiti e pensati dall’algoritmo pubblico.
DdK: Trovo molto importante il tuo continuo riferirti all’antropologia culturale e alle condizioni antropologiche che esistono adesso. La dimensione della persona privata è in corso di sparizione, il privato non è più privato perché invaso dagli algoritmi, le funzioni cognitive che abbiamo appreso della scrittura si sono spostate da dentro di noi a dentro la nostra tecnologia, ie smartphone, vuol dire che tutto il contenuto che abbiamo ereditato della storia alfabetica sta migrando fuori da noi. Allora se sparisce questa individualità privata, se spariscono queste condizioni del nostro essere occidentali, dobbiamo considerare di arrivare a un’altra condizione antropologica come il neo-totemismo prefigurato da Philipe Descola in Oltre natura e cultura, ovvero spazi privati e pubblici continui. E quando cambia una situazione permangono sempre forme di resistenza della situazione precedente. Ho così inventato un concetto nuovo a partire dall’idea del metaverso che è l’idea della metacittà, un nuovo servizio pubblico. Perché ormai tutto è duplicato, viviamo in uno spazio fisico attorno a noi e uno spazio virtuale che trova la sua rappresentazione in un grande ente come Meta, allora questa idea della metacittà è provare a capire come negoziare la nostra vita a livello fisico e virtuale con una certa stabilità. Il metaverso è probabilmente solo un ennesimo modo per fare più soldi, già si fanno speculazioni sui mq virtuali, valori falsi a paragone della realtà che conosciamo. La metacittà sarebbe la possibilità di occupare città virtualmente e fisicamente facendo corrispondere la fisicità della città alla sua rappresentazione virtuale implicando un servizio pubblico che ricrei un pubblico di partecipanti a una città che ritrovi la sua unità. Il problema è trovare il modo di creare un pubblico nuovo a partire dal virtuale e no di distruggerlo.
FM: Seppur è alla base della mia speculazione e delle mie ricerche non credo che l’antropologia culturale sia in grado di intervenire per aiutare coadiuvare e gestire questa mutazione antropologica in cui siamo immersi. L’algoritmo con la sua dimensione ctonia nascosta, il tribalismo pubblico e culturale, il nuovo ruolo delle aziende nella sfera privata, l’etica della funzione e la fine dell’etica dell’intenzione sono tutte cose che dovrebbero essere calmierate in una discussione pubblica basata sull’antropologia culturale e su una sorta di approccio neo-umanistico. Ma questo è stato sradicato e annichilito e il ruolo dell’intellettuale oggi è privo di senso: la cultura non si interroga più e non parla più di se stessa. Nessuno legge più libri che affrontano la problematica del linguaggio e del senso e questo è il tramonto dell’occidente di quella grande speculazione sulla filosofia che parte da Platone fino ai giorni nostri che oggi invece si è totalmente appiattita su un discorso di pura logica booleana, uno zero, uno zero e algoritmo
DdK: Questo tramonto è verificato su un piano economico e geopolitico. È evidente che ormai la bomba nucleare non occorre più alla dissuasione classica contro la guerra serve ormai alla dissuasione di intervenire nella guerra in corso e questo è un ribaltamento completo e Putin l’ha capito completamente così come Joe Biden rappresenta la debolezza dell’occidente e dell’America, fino al possibile ritorno di Trump che potrà segnare un’epoca nuova per l’Occidente e il nuovo multi-centrismo ipotizzato da Putin.
FM: A quel punto ci sarà un policentrismo e sarà cambiata la narrativa in cui l’America non è più il grande declinatore della narrativa occidentale, ma ci sarà una nuova narrativa con Cina, Russia ecc. e noi saremo forzati a definire un nuovo pubblico senza più utilizzare come unico parametro la cultura occidentale.
DdK: Sono d’accordo. Possiamo dare per scontato che l’Occidente non è più in grado di dettare il “nuovo ordine mondiale” a Davos o altrove, né esiste un “Deep state” basato su istituzioni democratiche e libero arbitro degli individui. Il “pubblico” del pianeta non è semplicemente tutti, tutte le culture umane, con tutte le varietà di religioni (più o meno credenti, dal fanatismo al solipsismo), tutte le ideologie in via di sviluppo o pienamente sviluppate, ma comprende anche tutte le altre forme di vita, tutte le ecologie che richiederanno attenzione e cura. Il pubblico del prossimo futuro comprende piante, animali e rocce.