La Cina ci obbliga ad una scelta europea forte e unitaria, intervista a Filippo Mignini
In questi giorni stiamo assistendo dal chiuso delle nostre case ad un balletto a tratti fortemente sconfortante dei vari governi europei che alternano proclami a chiusure repentine, un movimento e un’azione che non solo pecca di miopia, ma che potrebbe pregiudicare vista la situazione d’emergenza sanitaria, economica e quindi anche sociale in cui ci troviamo il ruolo globale dell’Europa.
Ormai da troppo tempo si agitano bandiere sovraniste sui cieli di un continente che dovrebbe aver ormai compreso quanto l’unificazione sia un vantaggio non solo per l’economia, ma anche per la sicurezza e la diversità culturale dell’intero continente. Il Covid-19 non solo ha svelato la fragilità politica del governo europeo che ancora si trova a dibattere o meglio a polemizzare tra le miserie di nazionalismi più o meno folkloristici e più o meno pericolosi, ma anche la totale inconsistenza di chi pensa che si possa fare da sé tanto più in un continente che si pone centrale per gli equilibri economici globali tra Cina USA.
Ed è proprio provando a spostare l’asse del dibattito che si rivela necessario un libro da poco uscito per Quodlibet, Europa e Cina che prova a riorientarre il discorso attorno alle relazioni storiche e profonde che hanno attraversato e attraversano l’Europa e la Cina. Un libro agile e utilissimo scritto da Filippo Magnini ordinario di Storia della Filosofia a Macerata, esperto conoscitore di Matteo Ricci.
La Cina si appresta a diventare il principale attore globale entro il 2050, proprio agendo su quel soft power tanto caro agli Stati Uniti che invece già in questi giorni sembra stentare rinchiuso tra un’aministrazione tanto eccentrica quanto a tratti fortemente inadeguata al suo ruolo. Scrive Filippo Mignini nel suo libro:
“Il traguardo fissato da Xi per il 2020 è il conseguimento di una «società moderatamente prospera in ogni suo aspetto» (xiaokang shehui), espressione che sembra indicare non tanto la modestia del risultato, quanto invece una qualità che la prosperità cinese dovrebbe possedere, ossia quella della misura, che implica distribuzione e condivisione del benessere tra tutti i cittadini, equilibrio e limitazione degli eccessi di ricchezza (Xi 2019, 90-101; Scarpari 2015, 136).
Per realizzare questo obiettivo è necessaria una sostenuta crescita economica, che sia «qualitativamente migliore, più efficace, più equa e sostenibile» (Xi 2019, 90-91). Il traguardo previsto è il raddoppio del Pil pro capite rispetto al 2010.
L’obiettivo indicato per il 2050 è il conseguimento di un «grande Stato socialista moderno». Esso verrà realizzato con una tappa intermedia fissata al 2035, anno nel quale la Cina sarà divenuta un leader globale nella innovazione. Dovrà essere sostanzialmente compiuto il processo di adeguamento legislativo e legale dell’amministrazione dello Stato; sarà stato significativamente migliorato il galateo sociale e data maggiore capacità di attrazione alla cultura cinese, potenziandone il soft power; saranno state appianate le disparità tra le condizioni di vita dei cittadini, tra città e campagna, tra le diverse province e nell’accesso ai servizi pubblici di base; sarà stato raggiunto un fondamentale sviluppo dell’ambiente e l’obiettivo della costruzione di una “Cina bellissima”.
Nel 2050 saranno stati raggiunti nuovi livelli di sviluppo materiale, politico, culturale, etico, sociale ed ecologico; sarà stata compiuta la modernizzazione del sistema Cina e la sua capacità di governo; la Cina sarà divenuta un leader globale in termini di equilibrio tra forza nazionale e influenza inter- nazionale; sarà stata sostanzialmente raggiunta la comune prosperità per ognuno; il popolo cinese godrà di vita più felice, sicura e sana; la nazione cinese sarà divenuta un membro orgoglioso e attivo della comunità delle nazioni.”
L’auspicio di un «ruolo maggiore negli affari internazionali» pone anche l’accento su una delle principali debolezze dell’Europa, verosimilmente oggi amplificata.
E all’interno del programma di Xi è fondamentale il ruolo dell’Europa, un’Europa unita (a differenza di quanto da tempo la diplomazia angloamericana si propone), scrive sempre Mignini:
“Al termine del discorso al Collegio d’Europa Xi prendeva esplicitamente posizione sul processo d’integrazione europea affermando: «Non importa quanto sia cangiante lo scenario internazionale, la Cina sostiene da sempre il processo di integrazione europea e caldeggia un’Unione Europea unita, stabile e prospera, che giochi un ruolo maggiore negli affari internazionali» (ivi, 354).
L’auspicio di un «ruolo maggiore negli affari internazionali» pone anche l’accento su una delle principali debolezze dell’Europa, verosimilmente oggi amplificata.
Alla proposta di Xi l’Europa non può rispondere, semplicemente perché non c’è. È possibile che, non vedendo significativi progressi nella direzione dell’unificazione politica, la Cina, pur non mutando la sua posizione favorevole, abbia iniziato dal 2014-15 a considerare l’Europa anche come un grande mercato nel quale incrementare la propria politica di investimenti e di acquisizioni.
La presenza della Cina in Europa negli ultimi anni appare particolarmente intensa e attiva in ambito economico e infrastrutturale, così come in campo culturale; senza considerare, in questo contesto, la sua politica globale in Africa, America Latina e Asia Centrale, come in ogni altra parte del globo. Nel primo ambito, oltre a trovare in Europa un ricco sbocco commerciale per le proprie merci, la Cina è interessata ad acquisire per intero o attraverso quote importanti di proprietà, infrastrutture come porti e aeroporti, aziende leader nei settori dell’energia, della chimica, della meccanica, dell’agricoltura, insieme alle conoscenze relative. In ambito culturale, la presenza più impressionante della Cina è costituita dalla rete degli Istituti Confucio.”
Tuttavia non va dimentica la diversità culturale profonda dentro cui sarebbe bene indagare (e studiare) per poter migliorare e comprendere le relazioni con la Cina. Una relazione che sarà figlia dell’evoluzione e dell’accelerazione ma soprattutto del rafforzamento generale del processo di unificazione europeo, iL Covid-19 è per certi versi l’occasione obbligata per arrivare pronti ad un confronto che diversamente potrebbe farci trovare in una condizione di estrema debolezza e subalternità
L’obiettivo indicato per il 2050 è il conseguimento di un «grande Stato socialista moderno». Esso verrà realizzato con una tappa intermedia fissata al 2035
Conclude Magnini evidenziando proprio le diversità e le opportunità di un dialogo che potrebbe cambiare volto a quello abbiamo conosciuto ieri, a quello a cui eravamo abituati, prima di chiuderci in casa in cerca di salvezza:
“In Occidente si è dovuto attendere Galilei perché, a chiare lettere, si denunciasse la vanità della rivelazione per le scienze del cosmo, mantenendola valida soltanto per l’ordine morale, quale guida alle azioni umane. Essendo la natura un gran libro scritto in logica e caratteri matematici, chiunque ne conosca il linguaggio può riconoscerne l’intima struttura.
Tuttavia, poiché anche l’uomo è parte della natura, e sottoposto alle sue leggi, quale bisogno vi sarebbe della rivelazione anche in ambito morale? L’inevitabile conseguenza di estendere la vanità della rivelazione anche all’ordine morale, come mostrerà la filosofia moderna, fu la vera causa della condanna di Galileo e, al tempo stesso, anche della condanna dei cinesi come popolo ateo perché privo di conoscenze rivelate.
La condanna di Galileo, tuttavia, divideva due Europe: quella che nel gesto e nella prospettiva dello scienziato pisano e della modernità illuministica veniva direttamente ricongiunta all’antichità greco-romana, ricostruendo la possibilità di un dialogo con le civiltà più razionali del mondo; quella guidata dall’immaginazione, che trova nell’idea di rivelazione soprannaturale l’instabile fondamento di una società diretta da fede e obbedienza. L’attuale inevitabile confronto con la Cina e con la sua civiltà interroga l’Europa contemporanea anche su questo dilemma.”
E a proposito di quale Europa e di quale Cina abbiamo contattato il Professore Filippo Mignini a cui abbiamo posto alcune domande.
Qual è il senso delle differenze culturali tra Cina e Occidente? Come si evidenziano?
Le differenze culturali tra Cina e Occidente sono numerose e fondamentali. Ad esse si accenna nella terza parte di Europa e Cina per sottolineare l’urgenza di un confronto sistematico che possa estendersi anche alla consapevolezza della cultura media europea. È infatti dai principi ideali di una civiltà che derivano i sentimenti e le forme di vita di una società. Mi limito a due esempi:
- Profondamente diverso è il modo di intendere il rapporto tra tutto e parte: in Cina la parte esiste solamente nel tutto, che ne è origine e radice, ed è perciò intelligibile solo alla luce di esso; l’Occidente concepisce la parte come esistente in sé e concepibile per sé, ossia come sostanza finita, al punto da poter immaginare che questa possa persino respingere la stessa origine e causa come un altro da sé o trascendente. Sotto questo profilo, la filosofia occidentale che più si avvicina al pensiero confuciano è, senza dubbio, come aveva già intuito P. Bayle nel suo Dictionnaire, quella di Spinoza. Le “applicazioni” di questa diversa visione si possono esemplificare nella lingua e nella scrittura (ideografica e alfabetica), nella medicina, nelle relazioni sociali. Nessun aspetto della vita personale, mentale, affettiva, morale di un cinese è pensabile al di fuori dell’orizzonte sociale. La relazione sociale è il fondamento e il regolatore dell’intera vita dell’individuo. Una società non è concepita come un insieme o somma di individui, come le parole risultano dalle lettere e i discorsi da una precisa organizzazione di parole; al contrario, gli individui derivano ed esistono e hanno senso nella società. Così i singoli ideogrammi non acquistano senso se non alla luce dell’intera frase nella quale sono disposti.
- Nella civiltà cinese il Cielo non parla, come ricordava Confucio nei Dialoghi; non si dà alcuna possibilità di soprannaturale, non è contemplato alcun peccato originale, nessuna redenzione e grazia. Si limitano a concepire il cosmo come l’unica casa nella quale sia dato al genere umano di esistere e di perfezionare sé stesso, senza nessuno che ti indichi dall’alto dove andare e come comportarti, ma con l’esercizio costante della “mente-cuore”, ossia della ragione naturale e degli affetti orientati verso il bene da un raffinato e pervasivo sistema formativo. Da qui deriva l’importanza essenziale assegnata in campo politico alla competenza e al merito, vagliati da un rigido sistema di esami praticato per migliaia di anni e di valutazioni pubbliche triennali dei funzionari dello Stato.
Le preoccupazioni che aveva quando ha scritto Europa e Cina, prima della pandemia, di ordine economico, politico e culturale, rimangono inevitabili anche dopo la pandemia?
Le preoccupazioni che mi hanno indotto a scrivere questo piccolo libro possono riassumersi nell’inadeguatezza dell’attuale Unione europea a gestire fenomeni rilevanti di politica interna, ancor più di politica internazionale, a causa dell’architettura stessa dell’Unione. In politica interna si pensi alla gestione della crisi finanziaria del 2008, che tanto ha concorso al deterioramento dell’immagine di Europa; oppure alle deludenti politiche di accoglienza e ripartizione dei migranti tra gli Stati membri, o alla disparità e competizione dei diversi sistemi fiscali.
In politica estera si assiste da anni a una costante crescente irrilevanza nelle crisi internazionali
In politica estera, sulla quale l’Unione non ha competenze dirette, prerogativa degli Stati membri, si assiste da anni a una costante crescente irrilevanza nelle crisi internazionali. Solo negli ultimi mesi ricordiamo le non più che retoriche posizioni assunte nella crisi tra Stati Uniti e Iran, tra Turchia e Siria, o alle persino scoperte competizioni reciproche sulla crisi libica. Sul fronte del sistema di governo, si pensi al nodo del diritto di veto di un qualsiasi Stato nell’assunzione di decisioni, con rilevanti conseguenze non solo sulla rapidità, ma sulla stessa possibilità di agire da parte del Consiglio e della Commissione.
Quale soluzione vede dunque possibile e necessaria?
L’unica soluzione possibile a questa crescente impotenza non è una riforma qualsiasi dell’attuale assetto politico, o inefficaci appelli alla solidarietà, ma un passo avanti deciso nella direzione indicata dai padri fondatori dell’idea di Europa: la costruzione di un soggetto politico unitario, almeno in alcuni ambiti decisivi.
Se ne convinceranno gli europei e i loro Stati?
Queste considerazioni di semplice ragione mi sembravano sufficienti per convincere almeno gli europeisti a procedere decisamente in questa direzione; tuttavia, il quasi generale silenzio sul tema anche da parte loro, mi ha indotto a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica stimolando anche gli affetti, tra i quali quello della paura. Ho ritenuto perciò di assumere a caso emblematico di riflessione i rapporti attuali dell’Unione con il gigante Cina. In particolare, con le politiche economiche e culturali della Cina in Europa.
Il più forte domina il più debole e, se ne ha la potenza, ha tutto il diritto di farlo. Da qui la necessità, per l’Europa, di accrescere la propria forza
Non perché consideri illegittime tali politiche: se gli europei vendono e i cinesi acquistano infrastrutture e settori strategici, chi potrebbe considerare illegittime tali operazioni? Il punto essenziale, specialmente nella politica internazionale, ancora in questo momento storico, è che il più forte domina il più debole e, se ne ha la potenza, ha tutto il diritto di farlo. Da qui la necessità, per l’Europa, di accrescere la propria forza e porsi quale interlocutore paritario della Cina. Non per opporsi, ma per collaborare con essa alla costruzione di un mondo più stabile e armonico. Non v’è dubbio infatti che l’umanesimo europeo, congiunto con quello cinese, come avvenne nello straordinario incontro di civiltà operato da Matteo Ricci e dai suoi interlocutori cinesi quattro secoli orsono, costituisca anche oggi una risorsa decisiva per il futuro del pianeta.
Il Coronavirus nella sua tragedia può essere un’opportunità per rilanciare il progetto europeo?
L’esperienza del Coronavirus non risolve le preoccupazioni a cui ho accennato, ma le aggrava; al punto che qualcuno parla già di fine dell’Europa. In un senso questo è vero: se l’Europa attuale si mostra incapace di fronteggiare l’emergenza, non ha più ragione e diritto di esistere. Questo non vuol dire, tuttavia, che non possa essere compiuto un passo ulteriore, attraverso due vie: rifondare un’Europa più forte e politicamente unitaria da parte di quegli Stati che ne siano convinti; avviare una campagna efficace di sensibilizzazione dei popoli europei all’idea dell’unione politica. Una delle mancanze più gravi dell’Europa negli ultimi decenni è stata infatti la mancata adozione di strumenti adeguati di persuasione dei cittadini riguardo all’obiettivo finale dell’unità politica.
Quale sarebbe l’alternativa ad un Europa unita?
L’alternativa è scontata: i singoli Stati europei, al di fuori di questa unione, sono condannati a divenire province periferiche di Stati più forti. L’Inghilterra post brexit degli Stati Uniti; gli altri Stati europei, a seconda anche della loro posizione, di potenze come la Cina, la Russia, l’India, la Turchia stessa. Le previsioni dei principali istituti di ricerca sono concordi: tra dieci anni soltanto la Germania resterà nel G7; e nel 2050 forse nel G20. Vogliamo accomodarci a questo futuro? Io non vorrei. E perciò ho scritto questo libretto, cercando di riaccendere una riflessione che possa condurci a un futuro nel quale non fossimo costretti a vergognarci pensando al nostro passato.