‘L’Ideologia Californiana’ è la chiave per comprendere l’era che stiamo vivendo
L’ideologia californiana (qui nella preziosa traduzione di Anna Senigallia) è un testo fondamentale per la lettura critica del rapporto tra tecnologia, cultura e innovazione. Nonostante la grande influenza che ha esercitato nel dibattito internazionale, in Italia è rimasto sconosciuto anche a buona parte del pubblico interessato a questi temi. cheFare lo ripropone al pubblico italiano a 20 anni dalla sua pubblicazione.
Moltissima acqua è passata sotto i ponti nel frattempo, scorrendo sempre più veloce: i personal computer sono entrati in moltissime case dei paesi sviluppati; Internet è diventata l’infastruttura di riferimento della nostra vita economica, culturale e affettiva; bolle speculative, nuove forme economiche e imperi industriali sono nati, cresciuti, ed in alcuni casi morti; i nuovi media sono confluiti in dispositivi sempre più piccoli e performativi che portiamo con noi in tasca, nei vestiti, al polso; intere mitologie romantiche del genio digitale – da Steve Jobs a Larry Page – sono state metabolizzate dalla cultura di massa; scandali di portata globale ci hanno mostrato come le nostre vite siano alla mercé di oscure organizzazioni statali che possono controllare ogni aspetto delle nostre vite.
La lucidità e la forza critica delle argomentazioni di questo testo sono forse ancora più impressionanti oggi, alla luce di tutte queste trasformazioni. Se alcune affermazioni e scelte linguistiche oggi possono suonare leggermente desuete, L’ideologia californiana è comunque un testo chiave per chiunque voglia affrontare in modo consapevole le sfide che ci aspettano nel presente e nel futuro.
Rimandiamo all’edizione originale in inglese per il sistema di note e la bibliografia
Introduzione
Alla fine del ventesimo secolo la convergenza a lungo predetta di media, computer e telecomunicazioni in ciò che è definito ipermedia si sta alla fine concretizzando. Ancora una volta l’inesorabile spinta del capitalismo a diversificare e intensificare il potere creativo del lavoro umano è sul punto di trasformare qualitativamente il modo in cui lavoriamo, ci divertiamo e viviamo insieme. Integrando tecnologie differenti intorno a protocolli comuni è stato creato qualcosa che è molto di più della somma delle sue parti.
“È impossibile non mentire sul futuro e chiunque può mentire su di esso a volontà” Naum Gabo
Quando la capacità di produrre e ricevere quantità illimitate di informazioni, in qualsiasi forma, è combinata con l’estensione della rete telefonica globale, le modalità presenti di lavorare e divertirsi possono essere trasformate in modo fondamentale. Nascono nuove industrie e i titoli attualmente favoriti dal mercato finanziario saranno spazzati via. E in questo frangente una strana alleanza fra scrittori, hacker, capitalisti e artisti della West Coast americana ha dato vita a una eterogenea ortodossia dell’età dell’informazione: l’ideologia californiana.
Questa è una miscela di cibernetica, economia liberista e controcultura libertaria, ed è emersa da una bizzarra fusione della cultura bohemienne di San Francisco con le industrie di alta tecnologia della Silicon Valley. Promossa da riviste (Wired e Mondo 2000), dai libri di scrittori quali Stewart Brand e Kevin Kelly, da programmi televisivi, da siti web e da conferenze in rete, la nuova ideologia combina il libero spirito degli hippies con lo zelo imprenditoriale degli yuppies. Questo amalgama di opposti è stato ottenuto per mezzo di una profonda fede nel potenziale emancipatorio delle nuove tecnologie dell’informazione.
Nell’utopia digitale ognuno potrà essere ricco e felice. Non sorprendentemente, questa visione ottimistica del futuro è stata entusiasticamente abbracciata, attraverso tutti gli Stati Uniti, da nerd del computer, studenti scansafatiche, capitalisti innovativi, attivisti sociali, accademici di tendenza, burocrati futuristi e politici opportunisti.
E, come al solito, gli europei non hanno tardato ad assimilare l’ultima moda americana. Mentre un recente rapporto dell’Unione Europea, il rapporto Bangemann su Europa e Società dell’Informazione Globale, raccomanda di adottare il modello californiano della libera impresa per costruire l'”autostrada dell’informazione”, artisti e accademici “sul filo della lama” hanno esaltato la filosofia “post-umanista” sviluppata dal culto extropiano della West Coast. Senza oppositori, il dominio globale dell’ideologia californiana sembra essere completo.
Da una lettura superficiale, gli scritti degli ideologi californiani sono un divertente cocktail di cultura illuminata della Bay Area e profonde analisi sugli ultimi sviluppi delle industrie tecnologiche delle arti, del divertimento e dei media. La loro politica sembra essere impeccabilmente libertaria – essi vorrebbero che le tecnologie dell’informazione fossero utilizzate per creare una nuova “democrazia jeffersoniana” nel cyberspazio dove ogni individuo avrebbe la possibilità di esprimersi liberamente.
Implacabile nelle sue certezze, l’ideologia californiana offre una visione fatalistica del naturale e inevitabile trionfo del libero mercato hi-tech, una visione che è cieca verso alcune caratteristiche della vita nella West Coast: razzismo, povertà e degrado ambientale. Ironicamente, in un passato non lontano, gli intellettuali e gli artisti della Bay Area erano appassionatamente presi da questi problemi.
La nascita della “classe virtuale”
Negli anni Sessanta, Marshall McLuhan predicava che il potere del grande business e del governo sarebbe stato superato dagli effetti sugli individui delle nuove tecnologie, intrinsecamente più potenti. Molti hippies furono influenzati dalle teorie di McLuhan e credevano che il progresso tecnologico avrebbe automaticamente convertito i loro principi libertari non conformisti in realtà politica.
I radicali della West Coast furono coinvolti nello sviluppo di nuove tecnologie dell’informazione
Essi ritenevano che la convergenza di media, computer e telecomunicazioni avrebbe inevitabilmente portato a una democrazia elettronica diretta – l’agora elettronica – in cui ognuno avrebbe potuto esprimere le proprie opinioni senza paura di alcuna censura. Incoraggiati dalle predizioni mcluhaniane, i radicali della West Coast furono coinvolti nello sviluppo di nuove tecnologie dell’informazione per la stampa alternativa, le stazioni radio comunitarie, i computer club e i collettivi video. Durante gli anni Settanta e Ottanta, molti dei fondamentali progressi nell’uso personale dei computer e delle reti sono avvenuti grazie a persone influenzate dall’ottimismo tecnologico della nuova sinistra e della contro-cultura.
Negli anni Novanta, alcuni di questi ex-hippies sono diventati proprietari o manager di aziende hi-tech e il lavoro d’avanguardia degli attivisti degli anni precedenti è stato largamente recuperato dalle nuove imprese di comunicazione e di alta tecnologia.
Anche se le aziende di questi settori sono in grado di meccanizzare e di sub-appaltare molto del loro lavoro, esse restano ancorate ad alcune figure chiave che ricercano e creano prodotti originali, dal software ai chip per computer, ai libri, ai programmi televisivi.
Questi imprenditori e lavoratori specializzati formano la cosiddetta classe virtuale, “…la tecno-intellighenzia di scienziati cognitivisti, ingegneri, esperti di computer, sviluppatori di video giochi, e tutti gli specialisti della comunicazione…”. Impossibilitati ad assoggettarli alla disciplina della catena di montaggio o a rimpiazzarli con delle macchine, i manager hanno impiegato questi lavoratori intellettuali attraverso contratti a tempo determinato.
Come l’aristocrazia del lavoro del secolo scorso, il personale chiave delle aziende di comunicazione o di computer sperimentano sia i compensi che le insicurezze del mercato. Da un lato questi artigiani dell’alta tecnologia non solo tendono ad essere ottimamente retribuiti, ma hanno anche una considerevole autonomia sul loro posto di lavoro e nelle aziende per cui lavorano. Come risultato, il divario culturale fra l’hippie e l’impiegato è diventato abbastanza sfumato.
Ma, dall’altro lato, questi lavoratori sono legati ai termini dei loro contratti e non hanno alcuna garanzia di un lavoro continuativo. Essendo finiti i bei tempi degli hippies, il lavoro stesso è diventato la via principale all’autorealizzazione per molta della “classe virtuale”. Dato che questi lavoratori centrali sono sia una parte privilegiata della forza-lavoro che gli eredi delle idee radicali degli attivisti dei media comunitari, l’ideologia californiana riflette simultaneamente la disciplina dell’economia di mercato e la libertà dell’artigianato hippie.
La Nuova Destra ha riesumato una vecchia forma di liberalismo: il liberalismo economico
Questo bizzarro ibrido si è reso possibile solo attraverso un credo quasi universale nel determinismo tecnologico. Sin dagli anni sessanta i liberals – nel senso sociale della parola – hanno sperato che le nuove tecnologie dell’informazione potessero realizzare i loro ideali. Rispondendo alle sfide della Nuova Sinistra, la Nuova Destra ha riesumato una vecchia forma di liberalismo: il liberalismo economico.
In luogo della libertà collettiva ricercata dagli hippies radicali, essa ha sostenuto la libertà individuale all’interno di un’economia di mercato. Dagli anni Settanta in poi, Toffler, de Sola Pool e altri guru cercarono di dimostrare che l’avvento dell’ipermedia avrebbe, paradossalmente, comportato un ritorno al liberalismo economico del passato. Questa retro-utopia echeggiava le predizioni di Asimov, Heinlein e altri scrittori di fantascienza, i cui mondi futuri sono sempre pieni di mercanti dello spazio, venditori abilissimi, scienziati geniali, capitani pirata e altri rudi individualisti. La strada del progresso tecnologico non sempre porta a “ecotopia”. Potrebbe, invece, portare indietro all’America dei Padri Fondatori.
Democrazia diretta o libero scambio?
Con McLuhan come santo protettore, l’ideologia californiana è emersa da un’inaspettata collisione di neo-liberalismo di destra, contro-cultura radicale e determinismo tecnologico; un ibrido ideologico che mantiene intatte tutte le sue ambiguità e contraddizioni. Queste contraddizioni sono molto evidenti nelle opposte visioni del futuro che vengono portate avanti contemporaneamente. Da un lato, la purezza anti-corporation della Nuova Sinistra è stata mantenuta dai difensori della “comunità virtuale”. Secondo il suo guru, Howard Rheingold, i valori dei figli della contro-cultura continueranno a modellare lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione.
I suoi attivisti utilizzeranno sempre di più l’ipermedia per sostituire il capitalismo delle “corporations” e del governo con un'”economia del dono”, altamente tecnologica, in cui l’informazione è liberamente scambiata fra i partecipanti. Nella visione di Rheingold, la “classe virtuale” è ancora in prima linea nella battaglia per i cambiamenti sociali: malgrado il suo frenetico coinvolgimento politico e commerciale nella costruzione dell'”autostrada dell’informazione”, la democrazia diretta nell'”agorà elettronica” trionferà inevitabilmente sui suoi nemici burocratici e imprenditoriali.
Dall’altro lato, gli ideologi della West Coast hanno abbracciato l’ideologia liberista dei loro precedenti nemici conservatori. Per esempio, Wired – il mensile bibbia della “classe virtuale” – ha riprodotto acriticamente le teorie di Newt Gingrich, il leader repubblicano, di estrema destra, alla Camera dei Rappresentanti, e dei Toffler, che sono i suoi più vicini consiglieri. Ignorando le loro politiche di tagli al welfare, la rivista è stata invece ipnotizzata dal loro entusiasmo per le possibilità offerte dalle nuove tecnologie dell’informazione.
Gingrich e i Toffler proclamano che la convergenza di computer, media e telecomunicazioni non creeranno un’agorà elettronica, ma piuttosto porteranno all’apoteosi del mercato: uno scambio elettronico in cui ognuno può diventare un “libero mercante”. In questa versione dell’ideologia californiana ogni membro della classe virtuale ha l’opportunità di diventare un imprenditore tecnologico di successo.
Le teconologie dell’informazione, così viene argomentato, potenziano l’individuo, esaltano la libertà individuale e riducono drasticamente il potere dello stato-nazione. Le attuali strutture sociali, politiche e legali saranno spazzate vie per far posto a interazioni, senza alcuna restrizione, fra autonomi individui e il loro software.
Secondo il direttore di Wired, la “mano invisible” del mercato e le cieche forze dell’evoluzione darwiniana sono una sola cosa
Questi nuovi seguaci di McLuhan argomentano con vigore che il governo deve stare alla larga dagli imprenditori che creano risorse, che sono le sole persone sufficientemente coraggiose e disinvolte da prendere dei rischi. Anzi, i tentativi di interferire con queste fondamentali forze tecnologiche ed economiche, in modo particolare da parte del governo, semplicemente si ripercuoteranno su coloro che sono così sciocchi da combattere le “leggi primarie” della natura.
Secondo il direttore di Wired, la “mano invisible” del mercato e le cieche forze dell’evoluzione darwiniana sono una sola cosa. Il libero mercato è l’unico meccanismo in grado di costruire il futuro a di assicurare la piena libertà nei circuiti elettronici del cyberspazio jeffersoniano. Come nei racconti di Heinlein e Asimov, la strada verso il futuro sembra portare indietro nel passato. Il ventunesimo secolo, l’età dell’informazione, sarà la realizzazione delle ottocentesche idee liberali di Thomas Jefferson: “…la creazione di una nuova civilizzazione, fondata sull’eterno credo dell’Idea Americana”.
Il mito del Libero Mercato
Quasi tutte le maggiori conquiste tecnologiche degli ultimi duecento anni sono state ottenute per mezzo di grossi finanziamenti pubblici: sia la tecnologia dei computer che della rete sono state inventate con l’aiuto di massicci interventi statali. Per esempio il primo progetto di motore differenziale ricevette un finanziamento dal governo britannico di 17.470 sterline, una fortuna nel 1834.
Da Colossus a EDVAC, dai simulatori di volo alla realtà virtuale, lo sviluppo dei computer è dipeso nei momenti chiave dai risultati della ricerca pubblica o da ingenti contratti con agenzie pubbliche. La IBM costruì il primo computer digitale programmabile solo dopo che ciò fu richiesto dal dipartimento alla difesa statunitense durante la guerra di Corea.
Il rifiuto di un intervento statale significò per la Germania nazista la perdita dell’opportunità di costruire il primo computer digitale alla fine degli anni trenta, quando la Wermacht rifiutò di finanziare Konrad Zuze, che fu un pioniere nell’uso del codice binario, dei programmi residenti e delle porte logiche elettroniche. Una delle cose più bizzarre che riguardano l’ideologia californiana è che la stessa West Coast è la creazione di un massiccio intervento statale. I dollari governativi sono stati utilizzati per costruire i sistemi di irrigazione, le autostrade, le scuole, le università, e altri progetti infrastrutturali che ne hanno alzato il tenore di vita.
Il governo statunitense ha riversato milioni di dollari di tasse nell’acquisto di aerei, missili, materiale elettronico e nucleare da aziende californiane. Gli americani hanno sempre avuto la pianificazione statale, ma preferiscono chiamarlo “bilancio della difesa”.
Tutti questi finanziamenti pubblici hanno avuto un enorme effetto benefico, anche se non ricosciuto e non pagato, sul conseguente sviluppo della Silicon Valley e di altre industrie di alta tecnologia. Gli imprenditori hanno spesso un esagerato senso del proprio “atto creativo di volontà” nello sviluppo delle nuove idee e danno pochi riconoscimenti ai contributi forniti sia dalla struttura pubblica che dalla forza lavoro.
Comunque, tutto il progresso tecnologico è cumulativo, esso dipende da un processo storico collettivo e deve essere considerato, almeno in parte, come un risultato collettivo. Quindi, come in ogni altro paese industrializzato, gli imprenditori statunitensi hanno potuto contare sul denaro pubblico e sull’intervento dello stato per alimentare e sviluppare le proprie industrie e, quando le compagnie giapponesi minaccianorono di invadere il mercato americano dei microchip, i capitalisti “libertari” delle industrie di computer californiane non ebbero alcuna remora ideologica nell’entrare in un cartello organizzato dallo stato per respingere gli invasori dell’Est.
Padroni e schiavi
Nonostante il ruolo centrale giocato dall’intervento pubblico nello sviluppo dell’ipermedia, l’ideologia californiana rappresenta un dogma profondamente anti-statalista. L’origine di questo dogma è un risultato del fallimento delle politiche di rinnovamento fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Anche se gli ideologi californiani esaltano l’individualismo libertario degli hippies, essi non hanno mai dibattuto delle richieste politiche e sociali della controcultura.
Secondo loro la libertà individuale non può essere raggiunta ribellandosi contro il sistema, ma attraverso la sottomissione alle leggi “naturali” del progresso tecnologico e del libero mercato. In molti film e racconti cyberpunk, questo libertarianesimo asociale è espresso attraverso il personaggio centrale del solitario combattente per la sopravvivenza nel mondo virtuale dell’informazione. Secondo la tradizione statunitense, la nazione fu costruita da individui: trappers, cowboys, predicatori e coloni della frontiera.
La stessa rivoluzione americana è stata combattuta per proteggere le proprietà dei pionieri dalle ingiuste tasse imposte da un parlamento straniero. Ma questo fondamentale mito degli USA ignora la contraddizione che sta al centro del sogno americano, cioé che alcuni individui possono prosperare solo attraverso le sofferenze di altri. La vita di Thomas Jefferson, una delle figure chiave degli ideologi californiani, dimostra chiaramente la doppia natura dell’individualismo liberale. L’uomo che scrisse l’ispirato e poetico appello alla democrazia e alla libertà nella dichiarazione di indipendenza americana era allo stesso tempo uno dei più grossi schiavisti del paese.
Nonostante la successiva emancipazione degli schiavi e le vittorie del movimento per i diritti civili, la segregazione razziale è ancora centrale nelle politiche americane, specialmente in California. Dietro la neoliberista retorica della libertà individuale c’è la paura padronale della ribellione degli schiavi. Nelle recenti elezioni a governatore della California, il candidato repubblicano ha vinto con una rabbiosa campagna anti-immigrati. A livello nazionale, il trionfo dei neoliberisti di Gingrich nelle elezioni legislative si è basato sulla mobilitazione dell’ “arrabbiato maschio bianco” contro la supposta minaccia degli scrocconi del welfare: neri, immigrati dal Messico e altre ostinate minoranze. Le industrie ad alta tecnologia sono parte integrale di questa coalizione razzista.
La costruzione, esclusivamente privata e imprenditoriale, del cyberspazio può provocare solamente la frammentazione della società americana in classi antagonistiche e razzialmente chiuse. Infatti gli abitanti dei quartieri più poveri, già segnati dalle avide compagnie di telecomunicazioni, possono essere tagliati fuori dai nuovi servizi pubblici on-line per mancanza di denaro. Al contrario gli yuppies e i loro figli possono giocare a diventare cyberpunk nel mondo virtuale senza incontrare nessuno dei propri vicini non abbienti. Lungo la sempre più marcata divisione sociale, viene creato un nuovo apartheid fra i ricchi e i poveri dell’informazione. Wired ha denunciato come nemici del progresso i numerosi appelli affinché le società di telecomunicazione fornissero a tutti i cittadini accesso illimitato alle autostrade dell’imformazione. Ma dov’è il progresso?
Il calapranzi
Come ha rilevato Hegel, la tragedia dei padroni è che essi non possono sottrarsi alla dipendenza dai loro schiavi. I ricchi californiani bianchi hanno bisogno che i loro conspecifici dalla pelle più scura lavorino nelle loro fabbriche, mietano i loro raccolti, badino ai loro bambini e si occupino dei loro giardini. Incapaci di distribuire ricchezza e potere, i cittadini bianchi della California possono invece trovare sollievo spirituale nel culto della tecnologia. Se gli schiavi umani sono in fin dei conti inaffidabili, sarà necessario inventare quelli meccanici.
Non è possibile ottenere lavoro servile da qualcuno che sia stato asservito
La ricerca del santo Graal dell’intelligenza artificiale rivela il desiderio del Golem – uno schiavo forte e leale la cui pelle è del colore della terra e i cui visceri sono fatti di sabbia. Gli utopisti della tecnologia fantasticano che sia possibile ricavare dalle macchine inanimate una forma di lavoro servile. Tuttavia, anche se la tecnologia è in grado di immagazzinare e amplificare il lavoro, non potrà mai rimuovere la necessità di esseri umani che innanzitutto inventino, costruiscano e controllino le macchine.
Non è possibile ottenere lavoro servile da qualcuno che sia stato asservito. Nella sua proprietà di Monticello, Jefferson inventò molti aggeggi ingegnosi – incluso un calapranzi – allo scopo di evitare che gli schiavi servissero direttamente lui. Alla fine del ventesimo secolo non è così sorprendente che questo liberal possessore di schiavi sia l’eroe di coloro che proclamano la libertà negando ai propri concittadini dalla pelle nera quei diritti democratici ritenuti inalienabili.
Preannunciando il futuro
I profeti dell’ideologia californiana sostengono che soltanto i flussi cibernetici e i vortici caotici del libero mercato e della comunicazione globale saranno in grado di determinare il futuro. Il dibattito politico, di conseguenza, è uno spreco di fiato. In quanto neo-liberisti asseriscono che il volere del popolo, mediato dal governo democratico attraverso il processo politico, è un’eresia pericolosa che interferisce con la libertà, naturale ed efficiente, di accumulare proprietà. In quanto deterministi “tecnologici” essi credono che le limitazioni sociali ed emozionali poste dall’uomo impediscano l’efficiente evoluzione delle macchine. Abbandonando i concetti di democrazia e solidarietà sociale, l’ideologia californiana sogna di un nirvana tecnologico abitato soltanto da psicopatici liberisti.
Esistono delle alternative
Nonostante le sue pretese di universalità, l’ideologia californiana è stata sviluppata da un gruppo di persone che vivono in un paese ben determinato e che perseguono un ben specifico modello di sviluppo socio-economico e tecnologico. Il miscuglio esplosivo dal quale essi derivano – conservatorismo economico e libertarismo hippie – riflette la storia della West Coast, e non il futuro inevitabile del resto del mondo. I neo-liberisti hi-tech sostengono che esiste un’unica via ma in realtà il dibattito non è mai stato tanto aperto o tanto necessario.
Il modello californiano è solo uno fra i tanti. All’interno dell’Unione Europea, la storia recente della Francia fornisce un’evidenza pratica della possibilità di operare un intervento statale a fianco della competizione liberista per far crescere le nuove tecnologie e assicurare che i loro benefici siano distribuiti tra tutti i cittadini.
Come conseguenza della vittoria giacobina contro gli avversari liberisti nel 1972, la repubblica democratica in Francia divenne l’espressione della “volontà generale”. In quanto tale, lo stato doveva rappresentare gli interessi di tutti i cittadini, invece che limitarsi a proteggere i diritti dei singoli proprietari. La Rivoluzione francese segnò il passaggio dal liberismo alla democrazia. Incoraggiato da questa legittimazione popolare il governo è in grado di influenzare lo sviluppo industriale.
Per esempio, il network Minitel ha messo insieme la massa critica dei propri utenti attraverso la nazionalizzazione delle telecomunicazioni fornendo accessi e terminali gratuiti. Una volta creato il mercato, i providers pubblici e privati poterono quindi trovare un numero di clienti che permise loro di prosperare. Imparando dall’esperienza francese, appare ovvio che gli organismi europei e nazionali dovrebbero esercitare sullo sviluppo degli ipermedia un controllo e una direzione statale più mirati piuttosto che il contrario.
La lezione che viene dalla Minitel è che gli ipermedia in Europa dovrebbero essere sviluppati come un ibrido tra intervento statale, intraprendenza capitalista e autoproduzione. Non c’è dubbio che l’autostrada dell’informazione creerà un mercato di massa all’interno del quale le aziende private potranno vendere i loro prodotti già esistenti – quali film, programmi tv, musica e libri – attraverso la Rete.
Una volta che le persone potranno sia distribuire sia ricevere ipermedia apparirà uno sfavillio di media pubblici, mercati di nicchia e gruppi con interessi mirati. Tuttavia perché ciò accada lo stato deve avere una parte attiva. Per salvaguardare l’interesse di tutti i cittadini l’ “interesse generale” deve essere realizzato almeno parzialmente attraverso istituzioni pubbliche.
La rinascita del moderno
L’ideologia californiana rifiuta le nozioni di “pubblico” e di “progresso sociale”, intendendo incatenare l’umanità al peso del fatalismo economico e tecnologico. Tanto tempo fa, gli hippie della West Coast giocarono un ruolo di primo piano nel creare la nostra attuale visione dell’emancipazione sociale. Come conseguenza il femminismo, la cultura della droga, la liberazione gay e le identità etniche hanno smesso, a partire dagli anni Sessanta, di essere delle questioni marginali.
Possiamo fare di più che limitarci a “giocare con i pezzi” creati dalle avanguardie del recente passato
Ironicamente oggi la California, che è diventata il centro dell’ideologia, è proprio quella che nega rilevanza a questi nuovi soggetti sociali. È ora per noi necessario stabilire il nostro stesso futuro, pur non essendo le condizioni di partenza frutto di una nostra scelta. Dopo vent’anni, è venuto il momento di rifiutare una volta e per sempre la perdita di coraggio espressa dal post-modernismo.
Possiamo fare di più che limitarci a “giocare con i pezzi” creati dalle avanguardie del recente passato. È necessario un dibattito su che tipo di ipermedia si accordino con la nostra visione della società, sulle modalità di creazione dei prodotti interattivi e dei servizi on-line che intendiamo usare, sul tipo di computer che ci piacciono e sui software che riteniamo più utili. Dobbiamo trovare dei modi per ragionare socialmente e politicamente sullo sviluppo delle macchine.
Pur imparando dall’atteggiamento degli individualisti californiani del “tutto ciò che si può fare si fà”, dobbiamo anche riconoscere che le potenzialità degli ipermedia non potranno mai essere realizzate unicamente attraverso le forze del mercato. Abbiamo bisogno di un’economia che possa liberare la potenza creativa degli artigiani dell’alta tecnologia. Solo allora potremo veramente afferrare le opportunità promesse mentre l’umanità entra nel nuovo stadio della modernità.
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