Gamification: il potere delle dinamiche di gioco

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    Come spesso succede, quando si applicano regole e pratiche, nate e diffuse in uno specifico contesto, ad un ecosistema completamente diverso, ne derivano risultati sorprendenti e inaspettati. Nascono nuove discipline, si risolvono problemi complessi, si rintracciano soluzioni che in altro modo non sarebbero emerse. È come indossare un paio di occhiali con lenti colorate che ci permettono di guardare il mondo sotto nuove prospettive.

    Basti pensare all’applicazione di schemi epistemologici propri della psicologia e della sociologia allo studio delle dinamiche comportamentali all’interno delle organizzazioni aziendali. Ne è nata un’intera disciplina tra gli anni ’40 e gli anni ‘50, nota come organizational behaviour che oggi è utilizzata per orientare le scelte aziendali. O all’applicazione di principi propri dell’antropologia al design e alla progettazione di servizi e prodotti (vedi Human Centered Design di IDEO). Fino ad arrivare alla linguistica computazionale che applica la linguistica, la psicologia, la matematica, la teoria dell’informazione per creare intelligenze artificiali, macchine in grado di interagire con gli esseri umani mediante il linguaggio naturale.

    Con uno sguardo nuovo, guidato da un diverso schema mentale, i problemi si trasformano in soluzioni, illuminati da sfumature fino ad allora invisibili.

    Questa “formula magica” vale sia a livello teorico che pratico: sia nel caso in cui discipline diverse si contaminino negli occhi dell’osservatore (come nel caso dell’organizational behaviour o dell’intelligenza artificiale), sia che si contaminino nelle pratiche degli attori in esperienze create ad hoc, ibridando regole e mondi diversi.

    È il caso delle dinamiche del “gioco” applicate in contesti non ludici – come medicina, educazione, business, risparmio energetico – che hanno inaugurato un nuovo approccio ai problemi, noto con il nome di “gamification”.

    Foldit ne è un esempio: nato come gioco online con l’obiettivo di risolvere enigmi irrisolti nel campo della ricerca sull’Aids, è una sorta di puzzle virtuale che permette alle persone di tutto il mondo di giocare e competere per decifrare le diverse strutture proteiche esistenti. Le regole del gioco le stabiliscono i ricercatori. Creato nel 2009 dal centro della ”Scienza del gioco” dell’Università di Washington in collaborazione con il dipartimento di Biochimica, ha raccolto oltre 240.000 giocatori dalla data di creazione e ha risolto complessissimi problemi scientifici, fino ad allora irrisolti, in soli 10 giorni.

    Sempre nel campo della medicina, Pain Squad, un gioco di ruolo mobile pensato per aiutare i bambini affetti dal cancro a rispettare il complesso iter di cura. Grazie alla struttura tipica del gioco, con missioni e premi, fornisce ai pazienti incentivi a rispettare le rigide regole della cura e contemporaneamente permette ai ricercatori di raccogliere dati essenziali.

    Zamzee invece, è un wereable device che, indossato dai bambini, registra le attività fisiche svolte e le trasforma in punti e premi da accumulare, contribuendo alla prevenzione contro l’obesità e il diabete (i bambini che lo hanno utilizzato hanno incrementato le loro attività del 59%, sostituendo il movimento fisico ai pomeriggi davanti alla televisione).

    Anche sul fronte del risparmio energetico la gamification ha messo il suo zampino: Opower, per esempio, collabora con le aziende di servizi per fornire alle famiglie dati sulla quantità di energia che consumano rispetto ai vicini. Le persone che lo hanno sperimentato hanno diminuito il loro consumo di energia in media del 2%, che significa 1Terawatt di risparmio energetico in un anno e 120 milioni di dollari in meno sulla bolletta. RecycleBank, è un’altra declinazione della gamification: creato per incoraggiare le persone a riciclare di più e ridurre l’accumulo di rifiuti, permette di collezionare punti grazie al “risparmio” e convertirli in beni reali spendibili da WallMart e BestBuy. Il progetto, sviluppato da Al Gore, ha 3 milioni di membri e 180 impiegati.

    La gamification è un insieme di regole che applica meccaniche ludiche ad attività che non hanno direttamente a che fare con il gioco (qui un’interessante lettura sul tema, segnalata da Market Revolution: “Reality is Broken”, Jessy Schell & Jane McGonighal). Prende le mosse dall’unione di varie discipline, tra le quali il Design e la psicologia; riprende le teorie della Cibernetica, del controllo, ma ancor di più dell’economia comportamentale, quella branca che studia l’alterazione imposta da fattori esterni sui comportamenti umani normalmente messi in atto.

     

    Non si parla dunque dei classici “ videogiochi” ai quali siamo abituati a pensare quando si nomina la parola “gioco” ma di processi complessi che comprendono meccaniche e dinamiche ben precise. Conquiste, tempi prestabiliti e collaborazione all’interno di una community sono gli elementi utili per l’ideazione di specifiche esperienze che inducono gli attori ad interagire tra loro. Feedback rapidi, ricompense per lo sforzo, effetto d’incertezza, obiettivi a lungo e breve termine sono tutti gli ingredienti fondamentali. In particolare, vengono offerti diversi tipi di incentivi che portano il giocatore a procedere con gli obiettivi di gioco, come per esempio il miglioramento del proprio status, l’accesso a vari livelli, potenza, ricompense. Spesso si utilizza una moneta ”virtuale” come premio o come mezzo di scambio fra gli utenti.

    In questo modo – e il successo dei progetti citati lo dimostra – è possibile modificare il comportamento delle persone e favorire l’interesse attivo degli utenti verso il messaggio da comunicare, facendo convergere azioni e pratiche per il raggiungimento di uno scopo ben definito. È il caso della ricerca sull’AIDS, del risparmio energetico, dell’adozione di uno stile di vita più sano.

    Ma quali dinamiche attiva e perché è vincente? La gamification crea complicità, coinvolgimento e partecipazione tra gli utenti, facendo leva sui sentimenti, convertendo prescrizioni razionali in racconti emozionali, trasformandoci da consumer in prosumer, da user a player.
    Non si tratta di prendere in mano un joystick e accumulare vite; quanto di disegnare nuove esperienze ludiche finalizzate al raggiungimento di scopi più alti, che facciano interagire gli utenti secondo regole ben precise.
    Che sia possibile applicarlo anche all’industria culturale?

     

     

    Foto di sebastiaan stam su Unsplash

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