Lavorare stanca: partecipazione a bassa intensità

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    Lavorare stanca. Il lavoro di partecipazione richiesto dall’innovazione sociale stanca ancora di più. Per mille ragioni. E questo non solo nella fase eroica iniziale, ma anche dopo. Quando le nuove proposte vanno gestite e rigenerate giorno per giorno nel tempo. Certo sappiamo che permette di affrontare problemi complessi. Certo dà anche molto sul terreno del senso delle cose. Ma deve competere con soluzioni che, a scapito dell’ambiente o del lavoro sottopagato di altri, promettono e danno tutto subito e senza fatica. 

    Questa competizione, giorno per giorno è difficile. E ciò fa sì le soluzioni proposte dall’innovazione sociale fatichino a diffondersi e, a volte, a durare nel tempo.

    La domanda è: si può ridurre la fatica di questo lavoro di partecipazione?  La risposta è: sì, ma …

    1. Ciò che in questi anni abbiamo chiamato innovazione sociale si riferisce ad una specifica e particolare ondata di innovazioni iniziata con questo secolo ed ora arrivata a maturità. Arrivata cioè ad una fase in cui l’atto innovativo non è solo il far succedere qualcosa di nuovo, ma anche e soprattutto, far evolvere delle idee e delle pratiche emerse in una loro forma iniziale come dei prototipi, rendendole più accessibili, durature e capaci di diffondersi in altri contesti. 

    Vediamo meglio. L’innovazione sociale trasformativa nasce quando un gruppo di persone riesce a proporre qualcosa di nuovo mettendo assieme in modo creativo ciò di cui dispone in termini di prodotti, luoghi, infrastrutture e conoscenze. E, così facendo, cambia loro di senso e indica modi di fare che prima erano impensabili. Chi verrà dopo, dovrà poi gestire e rigenerare ciò che i primi hanno inventato.

    Ovviamente, è diverso se, nel farlo, queste persone operano utilizzando prodotti, servizi e infrastrutture non adatti, in un ambiente avverso, senza cultura pregressa su cui appoggiarsi, senza conoscenze e capacità diffuse. Oppure se l’innovazione si è consolidata ed operano in un contesto in cui tutti questi aspetti sono in vario modo più favorevoli. 

    Nel primo caso gli innovatori sociali sono degli eroi in grado di andare controcorrente e di costruire quello che serve, come dei bricoleur, utilizzando in modo creativamente improprio quello che trovano. Nel secondo caso, quando l’agire in modo innovativo si è consolidato, esistono servizi e prodotti dedicati, e ci sono politiche pubbliche e norme in grado di facilitarlo e definirne il campo di azione.  Quando ciò avviene possiamo dire che quell’innovazione è stata normalizzata, dando a questo termine il senso positivo di una normalizzazione trasformativa: normalizzazione perché si tende a dare continuità alle buone idee messe in pratica. Trasformativa perché, se è pur vero che, localmente, quel modo di fare si è normalizzato e risulta facilmente accessibile a tutti, allargando il campo di osservazione si vede che esso non è ancora diffuso. Per cui, per esempio, se pure un giardino di comunità, un’associazione di strada, una comunità della cura diventano normali in un luogo, non significa che lo siano ovunque.  Pertanto, la loro esistenza, pur essendo normalizzata per chi la pratica, è trasformativa per il sistema nel suo insieme perché vi introduce delle micro-trasformazioni che operando in base a logiche e valori diversi, possono contribuire alla sua trasformazione.

    Per raggiungere questa forma di maturità, va messa in campo una nuova, altrettanto matura, progettualità. Questo operando in modo complementare su due versanti: quello delle soluzioni proposte, e quello delle istituzioni. Si può cioè intervenire per migliorare la proposta iniziale e ci si può impegnare per modificare e rendere più favorevole il contesto.

    2. La prima strada è quella più ovvia e diretta. Consiste nel progettare piattaforme digitali, servizi, sistemi comunicativi, luoghi e prodotti ad hoc. Cioè specificatamente progettati per quell’innovazione. Il tutto, di solito, con il fine di rendere più economica e piacevole la proposta. In pratica, nel linguaggio del design di prodotto, si tratta di passare dal prototipo funzionante al prodotto maturo. Un passaggio nel quale spesso succede che si perdano molte delle motivazioni e delle qualità che caratterizzavano l’idea e il prototipo iniziali.  Così, nel nostro caso, l’idea di darsi a vicenda un passaggio in auto, può evolvere in Uber; uno scambio di camere, in airbnb; una comunità di quartiere, in uno strumento di gentrificazione della città. E così via. 

    Con questo, non voglio dire che questa linea di evoluzione delle innovazioni sociali non vada seguita. Dico solo che nel seguirla occorre una grande chiarezza su ciò che si vuole raggiungere, e una capacità progettuale di metterlo in atto. Per fare dei passi verso una normalità trasformativa, ciò che si vuole raggiungere è di mantenere i valori sociali iniziali. E questo, a partire dall’evitare di dividere gli attori coinvolti, riducendoli alle categorie di clienti e di erogatori (spesso mal pagati) del servizio.

    Occorre cioè evitare di trasformare l’idea collaborativa iniziale in una proposta neoliberista, in un altro caso di gig economy. Ma la possibilità di farlo non dipende solo dal progetto, ma anche dal contesto. Questo può essere più o meno favorevole non solo per l’emergere di nuove idee ma anche per evitare che esse evolvano nella direzione negativa di cui ho appena detto. Veniamo dunque alla seconda strada da intraprendere per andare verso una condizione di normalità trasformativa, e per farlo in modo da mantenere e accrescere i valori da cui era nata l’idea e il prototipo iniziale.  

    Negli ultimi anni, la strada del miglioramento del contesto è stata in parte seguita: a fianco delle attività molecolari generate da gruppi di cittadini attivi, abbiamo visto emergere casi di innovazione istituzionale tesa a produrre politiche pubbliche coerenti con le idee emerse dall’innovazione sociale e a creare così un quadro normativo tale da rendere queste idee e le pratiche che ne conseguono più accessibili, durature e capaci di riprodursi anche quando e dove le risorse sociali disponibili fossero minori. Per chiarire di cosa sto parlando, dirò che, per esempio, delle reti locali di cura sono innovazioni molecolari dal basso, mentre un programma nazionale o regionale di welfare di comunità è un’innovazione istituzionale che offre un nuovo quadro normativo, e quindi un contesto istituzionale più favorevole. Oppure, per le stesse ragioni, una social street o un giardino di comunità sono molecolari, mentre un programma di città dei 15 minuti e un’innovazione di quadro.   

    3. L’incontro tra innovazione sociale molecolare e sistema istituzionale, quando ha successo, produce nuovi stili di governo, cioè una governance collaborativa, e inediti comportamenti che possono essere definiti come una partecipazione attiva a bassa intensità: persone sono attive, ma in un contesto tale che non è necessario che la loro attività si trasformi in attivismo. Cioè senza dover mettere in campo quella dedizione intensa e quotidiana che è invece richiesta quando le stesse idee erano da attuare in un ambiente più ostile. Per esempio, la realizzazione e gestione di un giardino di comunità all’interno di un patto di collaborazione con i cittadini implica che questi ultimi possano essere attivi nella sua progettazione e nel suo mantenimento solo perché amano il giardinaggio e senza che sia loro richiesto di sentirsi parte di un gruppo di guerrilla gardeners, come invece spesso era il caso all’inizio della storia dei communty gardens. 

    Questa forma di partecipazione ha delle evidenti implicazioni in termini di lavoro richiesto. E quindi, della stanchezza che ne può derivare. Infatti, quando funziona bene, permette ai partecipanti di vivere una vita normale. Non richiede cioè eroi sociali. Non richiede attivismo. Però, per non tradire i suoi valori originali richiede una certa dose di attenzione, empatia e disponibilità all’azione. Cioè, in definitiva, di cura 

    Quest’ultimo punto va sottolineato. La partecipazione a bassa intensità non significa pensare ad un tendenziale azzeramento del lavoro necessario. Le attività che essa comporta richiedono di essere fatte con tempo, attenzione e competenza. Ma possono essere fatte con calma, in modo compatibile con una quotidianità di chi non è un attivista dedicato al tema, né un professionista pagato per occuparsene. È un’attività che assomiglia a ciò che è stato, e a ciò che dovrebbe essere, il lavoro artigianale, fatto con piacere. Come è, per chi ama farlo, cucinare bene o fare del giardinaggio. 

    Estrapolando, l’immagine che dovrebbe emergere dall’innovazione sociale matura, è quella di una società che si costruisce progetti e con una certa dose di attivismo, ma si mantiene nel tempo e si rigenera con un lavoro artigianale, fatto con calma, ciascuno secondo le proprie possibilità. 

    Certo, di per sé, questa prospettiva di un’umanità attiva a bassa intensità, in modalità artigianale non diminuisce oggi le difficoltà e le fatiche con cui gli innovatori sociali si trovano a doversi confrontare. Ma, a mio parere, essa dà un orizzonte diverso e umanamente sostenibile verso cui procedere. E forse, proprio per questo, può anche aiutare ad affrontare le difficoltà e le fatiche dell’oggi.

    Post-scriptum. Tutto quello di cui qui si è detto non avviene nel vuoto. L’auspicabile evoluzione dell’innovazione sociale e istituzionale di cui ho parlato avviene oggi in un ambiente flagellato dai venti di guerra, in una situazione politica che, comunque vadano le elezioni, sarà assai difficile. Il tutto dovendo allo stesso tempo affrontare inaudite sfide ambientali, sociali, economiche. E questo certamente non aiuta l’ottimismo.  Ma, proprio mentre le cose si mettono al peggio, è importate saper vedere se e dove ci sono ancora energie per andare controcorrente. Il che, ai fini della riflessione che sto facendo, significa saper vedere come evolverà l’intreccio tra l’innovazione sociale che fin qui abbiamo conosciuto e quella istituzionale, di cui si è detto. Cioè, come, nel nuovo quadro, potrà evolvere quella che prima ho descritto come una normalità trasformativa. Ma non solo. Si tratterà anche di riconoscere le nuove onde di innovazione sociale che in un questo drammatico contesto, potrebbero emergere. Anzi stanno già certamente emergendo. 

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