Si chiama La rete che lavora ed è un libro (edito da Egea) scritto da Ivana Pais, sociologa economica dell’Università Cattolica di Milano, studiosa di lavoro e reti sociali. È un contributo importante per comprendere le dinamiche di quell’oggetto ormai quasi intangibile, il lavoro, la cui ricerca e le cui pratiche sempre più passano attraverso la rete – e ritorno, come scrive l’autrice.
La premessa cruciale è che in questo libro si parla di rete in senso ampio: c’è il Web, certamente, ma c’è anche e soprattutto la rete come entità organizzativa, in quanto è nella forma della rete che i “nuovi lavoratori” costruiscono le proprie identità lavorative.
Il principale punto di forza di questo lavoro è la ricchezza di storie
Su questa linea l’autrice discute e argomenta, attraverso un nutrito numero di esempi, la tesi secondo cui per capire a fondo il lavoro postindustriale sfuggente ed “in frantumi” che caratterizza la contemporaneità è necessario descrivere e raccontare le storie e le esperienze del lavoro che cambia, e quindi sviscerare a fondo le narrative delle nuove forme di lavoro che mettono al centro, appunto, la rete.
In questo senso emerge chiaramente dalle ricerche di Ivana Pais come, soprattutto in termini di lavoro, non ha più molto senso parlare di offline e online come compartimenti stagni. Nei dati, nelle storie delle persone e dei loro micro-networks, si percepisce e si staglia l’immagine di un lavoro polidimensionale, la cui articolazione in forma di rete significa combinare sapientemente i rimandi e i rimbalzi “da offline a online e ritorno”, come conclude la sociologa con una felice metafora nell’ultimo capitolo.
All’interno di questo impianto teorico ritroviamo due delle discussioni più interessanti del libro. La prima è quella che riguarda il social recruiting, la cui importanza è destinata ad ampliarsi, come suggerisce l’autrice, in un passaggio naturale dal CV al profilo sui social networks.
Ivana Pais sottolinea l’importanza, ma altresì mette in luce come ci sia effettivamente il rischio di una “bolla della reputazione”
Una evoluzione così rapida e “radicale” da sorprendere, che ha facilitato ma non ancora modificato le dinamiche di domanda e ricerca di lavoro. Qui si potrebbe innestare una discussione più ampia, e che probabilmente diventerà di interesse generale nel prossimo futuro: ci si può infatti chiedere, in ragione di quanto letto, se l’emergere così ampio e così significativo del social recruiting non imponga una riflessione a più ampio raggio sulla ridefinizione delle modalità di incontro fra domanda e offerta di lavoro in seguito all’avvento della rete, se queste modalità siano ancora valide, ed eventualmente in che modo siano cambiate o stiano per cambiare. L’autrice descrive infatti una realtà che pare di transizione, un periodo di passaggio in vista di una grande trasformazione che vale la pena iniziare ad immaginare e a ponderare.
L’altra grande tematica è la discussione sul ruolo della reputazione, uno dei temi oggi più dibattuti. In rete questo concetto si articola attraverso algoritmi come Klout, che vogliono misurare l’influenza e la reputazione dell’utilizzatore di social media, determinando uno score che, se alto, consente tutta una serie di benefici sia online sia offline, anche in termini di lavoro.
L’autrice sottolinea l’importanza, ma altresì mette in luce come ci sia effettivamente il rischio di una “bolla della reputazione”, in ragione della presenza di numerosi bot, sistemi automatici che permettono la crescita artificiosa degli account sui social media e quindi degli score di reputazione.
In altre parole, si chiede la Pais, che succede se puntiamo tutto sulla reputazione, e poi scopriamo che può essere falsificata e distorta troppo facilmente? La soluzione, solo suggerita, risiede nel comportamento dei “pari” che vivono le reti sociali, attraverso pratiche che mettano al centro il valore etico, in quanto è attraverso il controllo reciproco tra i pari, endogeno ai sistemi reputazionali, che è possibile garantire che questa “bolla” non scoppi.
Questo libro ha un grande pregio: è scritto in modo semplice, accessibile e discorsivo, quasi divulgativo, riguardo ad un tema delicato della nostra epoca. È in grado di discutere l’impatto dei social networks e dell’agire reticolare nelle dinamiche di lavoro e di distribuzione di valore economico anche attraverso teorie sociologiche e discussioni più strettamente di taglio accademico, come quella sul capitale sociale, senza tuttavia che la lettura ne risenta.
Se volessimo fare un appunto, forse avrebbe giovato all’intero lavoro una più esplicita e, per così dire, ardita articolazione delle dinamiche presentate come elementi in grado di modificare sostanzialmente e radicalmente (laddove non sia già accaduto) lo scenario del mondo del lavoro nella contemporaneità; perché proprio di questo si tratta: è infatti altamente probabile che i temi sollevati da questo libro, e in parte qui discussi, delineeranno il prossimo futuro delle relazioni lavorative in modo significativo.
Ma il principale punto di forza di questo lavoro è la ricchezza di storie e di esempi. I racconti, ordinarie esperienze vissute di questa realtà della “rete che lavora” che si autoalimenta e mette radici, “fanno rete”, come viene spesso detto, crescendo e soprattutto creando valore dalle relazioni, con un continuo sovrapporsi delle dimensioni offline e online. Questa è la rete che lavora: conoscerla, impararne il funzionamento e maneggiarla bene è, e sarà sempre più, un requisito essenziale.
da doppiozero