L’autore dell’articolo, Roei Bachar, ha introdotto il 2° appuntamento del ciclo di 5 seminari itineranti Territori di ricerca: natura, città e spazio pubblico, organizzato dal dottorato Urbeur – Studi urbani dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, e curato da noi di cheFare.
Il 3° appuntamento, Nuove economie urbane tra innovazione economica e coesione sociale, analizza il ruolo delle nuove economie urbane e delle politiche che ne derivano (per esempio la manifattura urbana 4.0), partendo da un’analisi degli spazi di making a Milano.
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Nel suo libro, “Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità”, Yuval Noah Harari (2014) ha avuto un enorme successo in tutto il mondo grazie alla sua abilità nel creare in un testo estremamente leggibile, una semplificazione della storia dell’umanità. Harari, sostengono i critici, è stato in grado di creare un racconto estremamente ricco che permette di comprendere come la nostra civiltà si sia evoluta nelle ultime migliaia, se non milioni di anni. Per quanto il suo stile di scrittura unico e la sua capacità di rendere il testo accessibile al pubblico siano ammirevoli, i critici fanno notare come molte teorie del passato siano in esso presentate come fatti concreti, quando in realtà queste teorie sono continuamente rivisitate.
Sebbene sia i suoi detrattori che i suoi sostenitori sollevino importanti considerazioni, in questo testo è mia intenzione analizzare una particolare osservazione di Harari che ha a che fare con l’osservazione del primo processo di addomesticamento messo in atto dall’Homo sapiens, diecimila anni fa.
Il prossimo appuntamento con il ciclo di seminari Territori di ricerca, natura, città e spazio pubblico è il 19 ottobre 2018 alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Nel suo racconto, Harari si sofferma sul periodo storico antecedente alle società agricole, quello dei cacciatori-raccoglitori. In questo contesto, il primo processo di addomesticamento iniziò quando l’uomo intese per la prima volta il potenziale del controllo su piante ed animali. Controllare, in questo senso, significa decidere dove essi vivano, e incoraggiare e indirizzare la loro riproduzione verso la versione “più utile” della specie (più carne, più obbediente, eccetera).
Sebbene questo tipo di addomesticamento sia oggi scontato e alla base di qualunque processo chiave per la sopravvivenza dell’uomo, all’epoca questa volontà era tutto meno che banale. Tuttavia, l’umanità non aveva solo bisogno dell’idea e la comprensione della produttività che ne avrebbe ottenuto, ma anche della tecnologia adatta. Una tecnologia per lavorare la terra, tenere lontane le minacce, trattenere gli animali in un luogo designato e per mantenere il bestiame e raccolto in vita.
Per quanto significativa e affascinante l’evoluzione tecnologica inerente a questo cambiamento, il punto di Harari è ancora più fondamentale. Egli sostiene che sia scorretto concepire l’uomo come agente e soggetto addomesticante nei confronti di raccolti e bestiame (oggetti dell’addomesticamento). Harari infatti argomenta che mentre la nuova società agricola certamente permise all’Homo sapiens di prosperare, i reali beneficiari di questi primi processi di addomesticamento furono proprio quelle specie da cui l’uomo iniziò a dipendere. Che, insomma, siano esse ad aver addomesticato noi, e non il contrario.
Harari spiega piuttosto bene la sua idea. Egli afferma che: “L’evoluzione non bada né alla fame né alla sofferenza, ma solo a quante eliche del DNA riesce a replicare. Allo stesso modo in cui il successo economico di un’azienda viene misurato solo dalla quantità di dollari nel suo conto corrente e non dalla felicità degli impiegati, così il successo evoluzionistico di una specie si misura col numero delle copie del suo DNA.” (Harari, 2014, p. 209). Ad esempio, il grano in particolar modo non si diffuse da sé, ma si avvalse del genere umano. Grazie all’aiuto dell’uomo, il quale intraprese battaglie per mantenerne il controllo, questa specie riuscì a prosperare e a crescere in ogni angolo del pianeta.
Dall’altro lato gli uomini, per la prima volta nella storia, trovarono un incentivo per diventare stanziali, perdendo così la propria libertà geografica. Per la prima volta, la terra (e quindi la casa) divenne importante e vitale. Harari sottolinea l’enorme differenza tra la vita condotta da cacciatori e raccoglitori, la cui giornata lavorativa comprendeva appena 3 – 6 ore di lavoro al giorno, cacciando animali e raccogliendo il cibo dagli alberi, e quella di un agricoltore, il quale lavora tutto il giorno compiendo sforzi non previsti dal processo evolutivo stabilitosi nel corso di milioni di anni. Inoltre, Harari riporta numerosi esempi su come la rivoluzione post agricola abbia causato una crescita sempre maggiore di incombenze legate al lavoro e i “lavori di casa”, doveri da cui cacciatori e raccoglitori erano del tutto affrancati.
È quindi, possibile sostenere che gli esseri umani siano oggi consci del loro successo nel controllo della terra, ma Harari insiste sul fatto che l’individuo, in quanto singolo, non gode dei frutti del suo investimento. Oggi come ieri l’uomo deve lavorare sodo, anche più di prima. Egli è schiavo della sua casa, del suo raccolto e del suo bestiame, e in una società sovrappopolata (causata da e avviata durante la rivoluzione agricola), le sue risorse economiche sono più ristrette e più limitate rispetto al passato.
Harari sottolinea che la lezione da imparare dal processo di addomesticamento è quella di una connessione tra una volontà (razionale) e la tecnologia. L’obiettivo di tale connessione consisteva nel voler dare all’individuo dei benefici, ossia una quantità maggiore di cibo per se stesso, la sua famiglia e la sua tribù, e quindi in più sicurezza. Di fatto, l’aumento della popolazione negò tali benefici e portò unicamente a un involontario e significativo aumento del lavoro e delle difficoltà. Lentamente e tacitamente, la tecnologia tradì l’uomo, e anche se quest’ultimo se ne fosse reso conto, sarebbe stato troppo tardi per tornare indietro.
Tuttavia, la storia, come sappiamo, tende a ripetersi. Nel contesto urbano, la tecnologia è considerata un elemento essenziale nelle nostre vite e nel modo in cui viene organizzato lo spazio, che si tratti di quello pubblico o di quello privato, addomesticato .
Il processo di addomesticamento di cui abbiamo parlato potrebbe oggi essere preso come avvertimento per la direzione sbagliata che la tecnologia avrebbe poi finito per prendere. Dovremmo tuttavia chiederci se oggi sia possibile identificare altri tipi di processi di addomesticamento simili, anch’essi nati dall’unione di una tecnologia e una volontà.
Uno di questi può essere individuato nel modo in cui le case vengono oggi usate come piattaforma per una forma non professionale ma estremamente popolare di turismo grazie alla tecnologia di Airbnb. Airbnb è il leader del settore, con più di quattro milioni di stanze ed appartamenti in affitto in tutto il mondo. A questo punto la domanda da farsi è: chi è l’addomesticante? Chi l’addomesticato? Quale volontà ha portato alla nascita di Airbnb? E quale nuova tecnologia?
Per rispondere a queste domande è importante ricordare che sebbene Airbnb sia una storia di successo, il concetto di ospitare degli sconosciuti nella propria sfera domestica non è recente. B&B non ufficiali e guesthouse private sono sempre esistite. Ciò che rende Airbnb diverso è una comoda interfaccia (in forma di applicazione ICT) che rende l’utilizzo del sito, tanto per gli ospiti quanto per gli ospitanti, affidabile, facile e più accessibile che mai.
Airbnb come piattaforma ICT non è solo estremamente intuitivo, ma anche capace di creare un senso di comunità, con proprie regole, norme comportamentali e un efficientissimo sistema disciplinare. Una simile comunità, assieme ad un sistema ben concepito, crea fiducia (monetaria e interculturale) e ha il semplice obbiettivo di attrarre il maggior numero di ospiti ed ospitanti possibile. È così possibile identificare la volontà e la tecnologia di questo particolare sistema di addomesticamento.
È ancora più semplice comprendere questa necessaria unione tra volontà e tecnologia poiché Airbnb è già contestualizzato nello studio delle “sharing economy”. Queste, anche dette “economie collaborative” sono così chiamate per descrivere tipi diversi di collaborazioni economiche tra privati. Queste collaborazioni in genere danno vita ad una produzione domestica di prodotti o servizi diversi e a prezzo ridotto, che rappresenta solo l’interazione tra l’acquirente e il venditore, e non il prezzo del lavoro. Ciò significa che, in teoria, la sharing economy è “dal popolo, per il popolo”, che interagisce e crea valore in comunità.
In pratica però, la maggior parte delle espressioni di sharing economy, specialmente quelle di maggior successo, sono in mano ad aziende che si limitano a permettere e semplificare il processo. Vendono l’ideologia e ottengono enormi profitti in quanto facilitatori. Airbnb, come imprenditore di un processo di addomesticamento, ha la volontà – trarre profitto – , e la tecnologia – ICT.
Avendo trovato così l’unione di volontà e tecnologia, è ora importante capire cosa in Airbnb va considerato un processo di addomesticamento, e chi sono i fattori addomesticanti e quelli addomesticati. Come con l’esempio dei cacciatori-raccoglitori, convinti di stare utilizzando una tecnologia per addomesticare il grano e il bestiame, suggerisco che siano gli ospitanti su Airbnb a sentire di stare addomesticando la loro abitazione, o almeno uno spazio limitato all’interno di essa, così da controllarla meglio e trarne un profitto maggiore (monetario, sociale, culturale). Purtroppo, come i nostri antenati non erano coscienti del processo opposto in atto per generazioni e a loro discapito, un processo di addomesticamento simile, ma più rapido, sta avvenendo con Airbnb, e da parte della piattaforma stessa nei loro confronti.
Airbnb trae profitto nell’offrire persone ospitanti affidabili e competenti, ma non essendo essi dei professionisti, naturalmente la qualità dell’offerta di servizi ed alloggio è variabile. Per controllare questo fattore problematico, Airbnb spende una quantità considerevole di tempo e risorse nell’educare l’ospitante, spingendolo a lavorare seguendo diverse regole, a volte inconsistenti con la natura della sua abitazione.
Questa “educazione” non avviene in breve tempo. Così come i cacciatori-raccoglitori non erano in grado di comprendere le conseguenze negative del loro addomesticamento, così non sembrano esserlo gli ospitanti di Airbnb. Essi iniziano ad ospitare persone pensando ad un processo naturale atto a garantire l’integrità, sia pratica che ideale, della loro casa. Col tempo, ospitare diventa sempre più impegnativo, sconveniente ed estenuante, fino a distorcere il significato stesso di “casa”.
I risultati di una ricerca di dottorato ancora in corso mostrano come gradualmente i padroni di casa su Airbnb stiano perdendo la motivazione che li aveva spinti ad iniziare ad ospitare, diventando sempre più economicamente dipendenti da Airbnb, riducendo al minimo le interazioni con gli ospiti e possibilmente trasformare Airbnb in un investimento da seguire da lontano, magari da un’altra abitazione. Se il modo di ospitare sta cambiando rapidamente, gli ospitanti continuano a seguire, a volte fanaticamente, i “consigli” (o ordini) di Airbnb, trasformando il rapporto tra le parti, ancora inconsciamente, in una relazione tra datore e impiegato, mentre gli ospiti iniziano ad essere considerati clienti.
Discutendo sul concetto di volontà, è facile comprendere come questa situazione sia vantaggiosa per Airbnb, anche se va a minare le sue stesse priorità. Airbnb prospera grazie ai profitti, ossia le prenotazioni. Quando ospiti ed ospitanti seguono il credo del sito alla lettera, le interazioni positive possono portare a due risultati naturali. Il primo, una situazione in cui ospiti ed ospitanti diventano “conoscenti” – e smettono di utilizzare Airbnb per i loro scambi futuri (poiché il livello di fiducia è sufficiente), o il secondo – ospiti e ospitanti diventano “amici”, e ogni soggiorno futuro diventa gratuito. Con le interazioni tra le due parti mantenute al minimo invece, è più difficile che queste cose accadano – e Airbnb si assicura l’esclusività di facilitatore.
Aldilà di tutto, è importante ricordare che Airbnb è un’azienda privata e l’ospitante ha la libertà di prendere delle decisioni indipendenti. In più occasioni gli individui hanno effettivamente tratto beneficio dall’uso di Airbnb, per risolvere problemi finanziari temporanei o per raggiungere scopi personali (educare i figli, esperienze socio-culturali, eccetera). L’obbiettivo del processo di addomesticamento si raggiunge per via del fatto che Airbnb conduce un sistema non trasparente. Utilizzando la propria tecnologia ICT, Airbnb crea una comunità senza lasciare comunicare i propri membri, al di sopra o al di sotto della superficie. Tacita o esplicita.
Il verbo “addomesticare” suggerisce intrinsecamente l’istituzione dei ruoli di addomesticatore e addomesticato. In passato l’addomesticatore era una creatura spinta dalla sola forza della sua natura, ed essa beneficiava di una tecnologia che non controllava. Nel processo mosso da Airbnb invece, l’addomesticatore è una moderna forza intelligente che utilizza la tecnologia per creare un tacito processo di addomesticamento dell’ospitante e della sua abitazione, così da manipolare lo spazio a proprio piacimento.
Mentre esiste un grande dibattito sulle conseguenze di questo processo nella sfera pubblica (la gentrificazione, il diritto alla città di fronte alla crescita economica, il turismo di massa, eccetera), vi è anche un bisogno urgente di analizzare la conseguenza (nei fatti o anche solo potenziale) di questi cambiamenti anche per l’individuo nello spazio privato. Gli effetti positivi e negativi della distruzione del concetto di “casa” sono significativi e dovrebbero essere discussi, come la perdita della privacy e le possibili (che siano positive o negative) implicazioni della rottura definitiva della dicotomia tra spazi pubblici e privati nella sfera urbana.
È possibile che Airbnb sia un piccolo, sebbene globale, esempio di come questi lenti cambiamenti nelle nostre vite, promossi in sordina dalle nuove grandi aziende contemporanee, possano eventualmente portare agli stessi effetti causati dalla Rivoluzione agricola. Come in quel caso, tutto è iniziato con un “innocuo” processo di lento addomesticamento: un addomesticamento di uomini. In quanto inconsapevoli del processo che ha cambiato il nostro stile di vita allora, è importante esplorare in modo critico le implicazioni dell’uso di tecnologia “smart” da parte di coloro le cui intenzioni sono nascoste, mentre penetrano l’idea stessa del più intimo degli spazi – la nostra casa.
Immagine di copertina: ph. Max Busse da Unsplash