1

Liberazione 2.0. Dall’illuminismo alla neurobiologia

La prima forma di resistenza è rifiutarsi di ripetere le formule degli illusionisti. Liberati dal rifiuto, possiamo aprire gli occhi alle associazioni arbitrarie che stanno dentro quelle formule. Diventare consapevoli dell’esistenza, della parzialità e degli effetti delle metafore.

Sono queste le liberazioni possibili nell’era della revisione del corpo, che ci rende visibili anche i circoli viziosi che abbiamo nel cervello e le debolezze di cui si approfittano i free rider, i prepotenti, i demagoghi.

neurobiologia

Pubblichiamo un estratto dal volume di Stefano Diana, Noi siamo incalcolabili (Stampa Alternativa)

Oggi ad esempio possiamo osservare come si producono in noi tutte quelle reazioni che conducono ai pregiudizi razziali e culturali, basate in parte sul dispiegamento automatico di emozioni sociali evolutivamente intese a rilevare differenze negli altri; la differenza può segnalare infatti la presenza di un rischio o di un pericolo, e il suo rilevamento può quindi promuovere una reazione di allontanamento o di aggressione. […]

Si tratta sempre di conoscere quali meccanismi agiscono nel nostro cervello per imparare a ignorare certe reazioni, a guadagnare un sano distacco da loro come in una terapia comportamentale, conquistando qualche grado di libertà in più rispetto ai nostri antenati ominidi.

La libertà che ne deriva va tutta in favore della convivenza civile, che è basata sulle emozioni sociali. Arrivando ad applicare questo principio in modo strutturale, cioè sperimentandolo in una forma più evoluta di educazione dei bambini.

È un programma formativo per l’infanzia che si chiama MindUPTM, messo a punto negli Stati Uniti da una équipe mista di neuroscienziati, psicologi cognitivi ed educatori.

Invece di imbottire i bimbi di nozioni, in questo nuovo metodo ci si impegna a allevare in loro le abilità mentali che da adulti miglioreranno drasticamente le loro chance di successo e la qualità della loro vita: sapersi concentrare, saper mantenere l’attenzione, sapersi tenere saldi sotto la pressione degli eventi, avere la pazienza di rinunciare a un piacere immediato per averne uno più grande differito nel tempo, saper riflettere sugli stati d’animo propri e altrui; in altre parole, non essere da adulti marionette al comando di frame inconsci. Sono tutte attitudini frutto dei lobi frontali e prefrontali che, come altre facoltà, si possono sviluppare con l’opportuno allenamento.

Accorgimento ancor più notevole è che in MindUP si spiega ai bambini come funziona il cervello già dai 5 anni, impartendo nozioni essenziali di anatomia e di fisiologia.

Ai nostri vecchi frame scolastici da ventesimo secolo sembrerà un’assurdità, ma noi possiamo afferrare al volo il valore epocale di questa innovazione.

Se le persone imparano da subito a percepire il cervello come una parte del corpo, a pensare le sue manifestazioni come funzioni corporee al pari di quelle di altri organi, i benefici sono enormi.

La millenaria ferita culturale che separa la mente (o l’anima) dal corpo finalmente si rimargina. Si smette di distinguere il disagio occulto della mente da quello palese del corpo. Si ha per Amedeo la stessa considerazione che si ha per Giovanna.

E soprattutto, grazie alla consapevolezza che qualunque moto interiore, per quanto travolgente, è espressione di una zona definita e circoscritta della materia di cui sono fatti, i bambini imparano presto a relativizzare le loro emozioni guardandole in un quadro più ampio.

Un bambino che si conosce così a fondo riesce già a vedere l’ansia di un esame come uno sconvolgimento temporaneo dell’amigdala, quale di fatto è, perciò difficilmente l’ansia riuscirà a impadronirsi di lui perché non si identificherà più con una paura cieca che lo possiede interamente.

Sapendo che un’emozione è l’espressione di una parte del nostro corpo di cui conosciamo il funzionamento non ci sentiamo più in ostaggio di oscuri incantesimi che vengono da chissà dove. E restare in sé è il primo passo per reagire.

Ecco cosa può fare, nella pratica, adottare quella “visione corretta dell’uomo” a partire da ciascuno di noi individualmente, e poi nei suoi riflessi sociali.

Pensate solo al potere che ha sapere fin da piccoli da quale punto del nostro corpo nasce un’emozione, e concepirla dal principio come un aspetto familiare della nostra vita e di quella degli altri, dato che condividiamo un cervello e un corpo simili.

In queste condizioni difficilmente potremo vergognarci di quella emozione e sentire il bisogno di occultarla, così come accetteremo più facilmente l’emozione dell’altro.

In questo profondo mutamento di paradigma la visione neurobiologica dell’uomo prende il posto dell’approccio illuminista da cui ci deriva una vera idolatria dell’analisi razionale come garanzia di verità e di lucidità.

Come insegna la storia della scienza, questo passaggio di consegne si compirà perché la visione neurobiologica dell’uomo sa spiegarci quello che ci accade, come individui e come società, con una verosimiglianza sconosciuta alle convenzioni precedenti. La razionalità logico-matematica, al confronto, è paleoantropologia.

Costruire oggi la conoscenza sull’uomo e sulla società con questi mezzi è come farsi operare con un’ascia di selce: una follia masochista da setta religiosa, di cui si può morire.

Come la plastica qualche decennio fa simboleggiava un futuro radioso mentre ora è veleno, la razionalità logico-matematica che secoli fa sembrò la più fulgida ed elevata forma del pensiero ci appare ora una misera chiave di lettura, primitiva a paragone dei caratteri della fisiologia corporea che modella i nostri comportamenti.

La logica va bene per le macchine, non per i viventi.

. Ogni volta che siamo costretti a scegliere barrando una casella sì/no oppure 1/0, o anche solo ad indicare il gradimento da 1 a 5, senza accorgercene stiamo perdendo altre briciole di umanità e di comprensione di noi stessi.

Ogni volta che crediamo di avere inquadrato il mondo del pronto soccorso in limpidi manuali d’uso perfettamente ordinati, senza avvedercene ci stiamo allontanando di un altro metro dalla sponda della realtà.

Il passaggio di consegne alla visione neurobiologica è inevitabile per altri due motivi che ribadiscono la obsolescenza dell’indagine di tipo logico-matematico.

Il primo è che la razionalità ordinatrice «non ci può dire dove andare; al massimo ci può dire come arrivarci». Lascia così aperta la questione principale: dove stiamo andando? Al servizio di quali scopi stiamo mettendo i nostri sottilissimi strumenti concettuali, le nostre astrazioni, i nostri assiomi?

Le risposte a queste domande ormai sono importantissime, non possiamo più far finta che non esistano. La neuropsicologia cognitiva conferma che è impossibile tenere una condotta razionale senza la guida delle emozioni.

I pazienti con lesioni alla corteccia frontale ne dànno una prova eccezionale. Sono consapevoli che una scelta su cui insistono è sbagliata, razionalmente comprendono le conseguenze delle loro azioni, sanno ad esempio che insistendo perderanno un sacco di soldi, e ciononostante continuano a ripetere quella scelta fino alla disfatta totale.

E sapete perché? Perché nella loro valutazione manca la componente emotiva, perciò la motivazione a cambiare strada non si fa sentire.

Nel processo che porta alla scelta e all’azione, la logica è un puro accessorio; fa mostra altisonante di sé, ma può cadere all’obiezione di un bimbo.

Le emozioni ci rivelano il ruolo che potrà avere il nostro comportamento all’interno del consorzio umano in cui tracciano il nostro percorso, e senza questa indicazione semplicemente brancoliamo nel buio.

L’esercizio della ragione non è possibile senza le emozioni: anche sotto le azioni più sofisticate, sotto le intenzioni più contorte, sotto il sapere più elevato, sotto i sentimenti più raffinati, ci sono sempre gli stessi ingredienti primitivi che non contengono più intelligenza o coscienza di quanta sia implicata nell’ossigenazione del sangue negli alveoli polmonari.

Se non esploriamo perbene le nostre emozioni e i nostri istinti procediamo alla cieca anche con la razionalità, sia pure rigorosamente alla cieca.

Molti esperimenti dimostrano chiaramente come tra alternative bene/male scegliamo per simpatia o antipatia subitanea; solo in seguito la nostra corteccia frontale si dà da fare per dare sostegno alla scelta già compiuta, costruendo una giustificazione a posteriori coi metodi della razionalità.

Lo schema tattico è sempre quello del delirio o del metodo assiomatico: frame nascosti, e sopra questi deduzioni assai logiche. Ma è facile smontare i ragionamenti morali.

Quando ci chiedono perché riteniamo spiacevole o inaccettabile una certa azione, subito tiriamo fuori qualche argomento pronto; ma se le domande incalzano e scavano senza fermarsi, arriva sempre il punto in cui chiudiamo la discussione con un non si fa e basta, scuotendo la testa, girando i tacchi, tirando una sberla all’importuno investigatore.

Gli intervistati sottoposti a test del genere sono i primi a meravigliarsi di non riuscire infine a “spiegare” in termini razionali perché provano quello che provano, e restano attoniti a contemplare la paratia infrangibile che incontrano sotto le fondamenta dei propri stessi ragionamenti.

La visualizzazione dei percorsi degli stimoli neurali conferma che la reazione di scelta che comporta un giudizio morale si forma immediatamente nelle aree cerebrali più antiche, inaccessibili alla coscienza e alla razionalità.

E spiega anche come la razionalità possa essere il miglior braccio destro del delirio quando viene usata per giustificare a posteriori assiomi insensati, teorie alienate, regimi coercitivi e disumani, tanto nell’angusto regno di un folle quanto sul grande palcoscenico dei popoli.

Qui veniamo al secondo motivo d’insuffi- cienza dell’indagine logico-matematica, stavolta contingente. «La razionalità non ha alcun senso quando la gente si ammazza per il cibo e se non c’è più abbastanza acqua pulita da bere»: uno scenario che si fa sempre più probabile man mano che il nostro unico pianeta avvizzisce in mano ai free rider armati delle loro teorie di distruzione di massa.

Immagine di copertina: ph. Yousef Espanioly da Unsplash