È arrivata l’ora dell’Intrattenimento Digitale Solidale Gratuito

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    È nato un corpo d’iniziative che vorrei definire «Intrattenimento Digitale Solidale Gratuito». È un’espressione che chi scrive ha immaginato e sintetizzato in queste giornate di morte ed epidemia e che ora vorrebbe discutere con il lettore.

    Scrivendo, ho compreso che questa espressione è nata dentro di me come una reminiscenza delle funamboliche considerazioni svolte in passato da un romanziere: David Foster Wallace. Rimuovo dalla fine del testo e pianto eccezionalmente qui un Post Scriptum: vorrei sottolineare quanto sia moralmente difficile per me scrivere di questioni così secondarie, ora, in questa circostanza per tutti inimmaginabile, fatta di lutto quotidiano, paralisi e inquietudine… ma nella casa in cui mi trovo provo a portare avanti il privilegio di un discorso critico sui fatti, anche per neutralizzare il morso dell’angoscia, insomma mi sforzo di ragionare e vivere, nonostante tutto: è il mio miserabile esorcismo.

    Post Scriptum: mi sforzo di ragionare e vivere, nonostante tutto: è il mio miserabile esorcismo

    Nel panorama dell’«Intrattenimento Digitale Solidale Gratuito», la Triennale di Milano è l’istituzione che si è mossa per prima, ideando «Decameron», programma di eventi in streaming. O forse no. È arrivata prima l’intuizione della Cineteca milanese di mettere a disposizione on line 500 film provenienti dal suo archivio. La decisione della Cineteca era stata presa, se non erro, all’indomani del provvedimento di chiusura delle sale cinematografiche a Milano. Sembra una vita fa, eravamo solo agli inizi di questo nuovo mondo.

    Dopodiché abbiamo assistito\partecipato a un diluvio di iniziative. Abbiamo interagito con una diffusione e fruizione di contenuti digitali (artistici, musicali, teatrali, letterari, etc.) così preminente e massiva da diventare un fatto storico; e stiamo altrettanto testimoniando alla nascita su internet di una televisione vicaria e di format emergenziali, mentre la tv tradizionale si ammala, a forza di redazioni in quarantena e studi raggelati dall’assenza del pubblico.

    Da una parte musei, gallerie, fondazioni, istituzioni che si attivano per trasferire la programmazione su piattaforme on line. Dall’altra le dirette dei filosofi, dei deejay, degli scrittori, dei comici, dei cuochi, degli insegnanti di fitness e yoga. (Le case editrici Adelphi e Il Saggiatore, più sobriamente, hanno scelto di regalare la copia digitale di un libro).

    La formula «Intrattenimento Digitale Solidale Gratuito» può sintetizzare qualche caratteristica del fenomeno, ma non è esaustiva. Un amico, che lavora in editoria, mi ha parlato del «consueto cinismo delle case editrici», per esempio. Le case editrici, secondo questo amico, non hanno perso occasione per fare marketing. Quindi potremmo aggiungere «e Marketing» alla formula «Intrattenimento Digitale Solidale Gratuito».

    Un gesto disperato o disinvolto che serve a darsi ancora una voce, un corpo, nel contesto di una situazione economica mai sperimentata

    Può darsi (e tuttavia il marketing è una parte del mestiere). Eppure credo che in questa circostanza, così straordinaria, c’è qualcosa di più: un gesto disperato o disinvolto che serve a darsi ancora una voce, un corpo e un’estensione, nel contesto di una situazione economica e industriale mai sperimentata. E c’è senz’altro uno slancio di solidarietà e gratuità che non può che essere accolto. C’è la necessità di trovare forme e modi di stare insieme. Quindi c’è la solidarietà. E poi c’è l’intrattenimento, l’offerta e la domanda d’intrattenimento.

    L’intrattenimento è una dimensione che ha fornito disparate occasioni narrative allo scrittore e saggista David Foster Wallace, scomparso suicida nel lontano settembre 2008. Nel celebre reportage Una cosa divertente che non farò mai più, pubblicato nel 1998 per Minimum Fax, Wallace racconta i turisti americani a bordo di una crociera «Sette notti ai Caraibi», mentre ballano l’electric slide e giocano a Superbingo. Li descrive come adulti del tardo capitalismo, ricchi, viziati e bisognosi di essere intrattenuti senza sosta, grazie a una programmazione a tappeto di spettacoli, giochi e gare sportive.

    Il lavoro critico e narrativo di cui Foster Wallace si è fatto carico lo ha trasformato in un profeta

    Nel romanzo Infinite jest, uscito nel 1996 per l’editore Little, Brown and Company, è centrale il motivo della dipendenza. La dipendenza condivide con l’intrattenimento una serie di dinamiche psicopatologiche. L’intrattenimento continuo e asfissiante, la connessione permanente, il bovarismo inteso come frenesia dei consumi culturali, il binge watching su Netflix e il fear of missing out, si legano al tema della dipendenza e alla difficoltà, per ciascuno di noi, di restare davvero da soli di fronte al tempo, al vuoto e al dolore. Il lavoro critico e narrativo di cui Wallace si è fatto carico lo ha trasformato in un profeta.

    Se abbiamo assistito, in queste settimane, a un grande concerto di iniziative solidali, a esempi di fraternità digitale e alla premura reale di non lasciarci soli nelle nostre case, è altrettanto vero, a mio avviso, che la domanda massiccia d’intrattenimento, nelle sue varie forme, si è confermata un riflesso collettivo, alimentato dalle piattaforme, il cui effetto è di tenerci in pancia, non sganciarci, non lasciarci mai a noi stessi, alla nostra autonomia.

    «A plague without WiFi would be truly horrible» («Una pestilenza senza WIFI sarebbe davvero orribile», Ndr), ha dichiarato lo scrittore Douglas Coupland su Instagram.

    Coupland, evidentemente, ha ancora la forza di fare del sarcasmo, ma bisogna avere stoffa per fare il dandy durante una pandemia. La provocazione di Coupland, tuttavia, non è così infondata. A proposito di sarcasmo. Su Facebook, il più popoloso e antico dei Social Network, se n’è visto a fiumi, anche in queste settimane. La coazione generale e un po’ vergognosa al sarcasmo documenta la renitenza a separarci dalle maglie dell’intrattenimento, dell’alleggerimento, della battuta fatta più per abitudine che per esorcismo; testimonia la resistenza a rapportarci davvero con ciò che accade, lasciando che l’inimmaginabile c’investa a fondo e ci cambi.

    La coazione generale al sarcasmo documenta la renitenza a separarci dalle maglie dell’intrattenimento

    E poi c’è un terzo scrittore, Walter Siti, e il suo ultimo romanzo, La natura è innocente, appena uscito per Rizzoli. Trascrivo un passaggio: «[…] quel che mi inquieta, e mi procura una lieve vertigine mentre mi dirigo verso il McDonald’s di piazza Stesicoro, è il sospetto che ormai si viva tutti […] in una “civiltà del sorpasso” in cui gli eventi tragici sono macinati in una spirale di comunicazione, ablazione e velocità – tutto si supera, tutto si dimentica in un “che altro viene poi adesso?”. La musa del nostro tempo è la distrazione».

    Mi chiedo se l’autore oggi riscriverebbe tutto allo stesso modo. Io suppongo di no. Parlo con tante persone, su Skype, Messenger o WhatsApp, e mi confessano che pur sforzandosi e invocando la loro vecchia musa, non riescono più a vedere un film o a iniziare una serie tv. Il virus logora la musa della distrazione.

    Note