Chi sono i ragazzi che hanno costruito la torre in cartone di CasermArcheologica

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    Lo scorso settembre, a Sansepolcro, con la collaborazione di una ventina di giovani volontari della regione, l’artista francese Olivier Grossetête ha realizzato una torre in cartone di quindici metri nel cortile di palazzo Muglioni. È stata costruita in tre giorni di lavoro, e distrutta dopo una settimana come tutte le altre architetture effimere e collaborative che l’artista francese realizza in giro per il mondo (l’abbiamo raccontata qui.

    Anche se quella costruzione non esiste più, di quell’esperienza è rimasto molto: non solo nel ricordo di chi la torre in cartone l’ha assemblata o anche solo ammirata, ma anche negli spazi fisici di CasermArcheologica, che ancora oggi ospitano strutture figlie dello stesso progetto. Archi, loggiati, ponteggi e cupole utopiche, di foggia orientale o rinascimentale, che ricalcano strutture esistenti o ne inventano di nuove. Il tutto rigorosamente in cartone, progettato grazie a « Sketch-up », un software apposito che Grossetete e il suo braccio destro Christophe Goddet hanno insegnato a usare ai ragazzi che hanno preso parte al laboratorio. Grossetete e Goddet con le loro sculture hanno girato il mondo, ma non si erano mai fermati così a lungo a progettare fianco a fianco. « Di solito arriviamo con i nostri progetti già pronti », ha detto Goddet. « Costruiamo, montiamo, distruggiamo e ripartiamo. Il Covid ha obbligato anche noi a ripensare il nostro lavoro. Meno viaggi, più vincoli. Diminuire gli spostamenti ci ha permesso di allungare la nostra permanenza qui. Un’occasione di sperimentare qualcosa di più, di andare a fondo di quello che facciamo. »

    E così, dopo la torre, la storia è andata avanti. Le architetture in cartone sono oggi disseminate nei vari spazi di CasermArchelogica, e si integrano talmente bene all’ambiente circostante che verrebbe da pensare che siano sempre state lì. Sono sempre effimere, provvisorie e destinate anche loro a scomparire. Ma per adesso sono lì, e ogni giorno scrivono un pezzo della storia di questo posto in cui tutto cambia, nasce ed evolve, in cui ogni cosa sembra o diventa possibile.

    Hajar ha 22 anni, studia lingue ad Arezzo e a CasermArcheologica lavora come interprete.

    « Il grande merito di questo posto? Far sentire subito chiunque a casa. »

    « Una cosa che mi piacerebbe fosse valorizzata qui? Il cinema italiano. »

    Koutar, Victoria e Francesca

    « Dopo mesi di isolamento è bello ritrovarsi tutti insieme qui. »

    « Alcuni di noi si conoscevano già, molti altri non li avevano mai visti. Non è affatto vero che chi vive in posti così piccoli conosce tutti. »

    « Caserma è un posto per scoprire. Cose e anche persone.

    Giulia e Alessio

    Giulia

    « Caserma è un posto « strano »: non è per forza qualcosa di negativo. »

    « Se dovessi cercare una parola che lo definisce, direi « oceano ». Di idee, di persone, di esperienze. »

    « È la prima volta nella vita che ho fatto qualcosa che non aveva valore solo per me, ma anche per gli altri. »

    Alessio

    « Quando abbiamo iniziato non vedevo il senso di quello che facevo. È arrivato il secondo giorno, a poco a poco, solo dopo un bel po’ che lavoravamo. Da niente siamo arrivati a quindici metri: è una sorpresa anche per noi. »

    « Il bello? I pezzi da soli non hanno senso, hanno valore solo uniti agli altri. »

    Cecilia, Anna, Aurora e Viola

    Studiano al liceo linguistico, e CasermArcheologica la conoscono da tempo. Una di loro ha conosciuto caserma per un corso di fotografia: « mi piacerebbe se ne facesse un altro, noi siamo nate col digitale, non sappiamo nulla di analogico, è una scoperta ». C’è invece ci è arrivata per un serie di incontri geopolitici a tema « Europa »: « Mi piacerebbe che questo diventasse un luogo di dibattito. Su cosa? su tutto. Il sesso, l’educazione alimentare, la cultura LGBT. Qui nessun altro ce ne parla, o se lo fa lo fa in modo ridicolo, provinciale, macchiettistico. Caserma potrebbe essere il posto giusto. »

    Sara, Mattia, Noemi e Bianca hanno lavorato a una struttura di archi, ispirata ai torij, antichi tempi giapponesi. L’idea iniziale di ispirarsi all’Oriente è stata di Mattia, che in Giappone non è mai stato e sogna di andare. Poi ognuno ci ha messo il suo.

    « Pensavo sarebbe stato tutto molto più piccolo. Non più facile, nemmeno più difficile… solo più piccolo ».

    Racconto di: Eleonora Marangoni

    Foto: Silvia Noferi

    Note