La politica moderna deve capire se ha davvero bisogno degli esperti

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    I nuovi centri culturali sono spazi di confronto, di scontro e di trasformazione. Il lavoro che svolgono è inestimabile ma è necessario fare di più per sostenerli. Farlo significa superare gli ostacoli economici e pratici che li hanno limitati fino ad ora: dobbiamo condividere strumenti, conoscenze ed esperienze. Abbiamo bisogno di una presa di coscienza collettiva. Vogliamo unire le forze con tutti i nuovi centri culturali d’Italia. Compila il nostro questionario e raccontaci chi sei.


    Giovanni Sartori, in “Democrazia. Cosa è” (Rizzoli, 1994) scriveva che “asserire che la priorità, nel ripensare la teoria della democrazia, spetta al tema e al problema della applicabilità, di come gli ideali siano realizzabili, non sottintende che la teoria normativa non debba essere “critica” dell’esistente. Io non chiedo meno critica. Chiedo più critica fatta meglio” (p. 298).

    Il nuovo libro di Prijić Samaržija, professoressa di filosofia politica e Rettrice dell’Università di Fiume, dal titolo “Democracy and truth. The conflict between political and epistemic virtues” (Mimesis International, 2018), risponde agli auspici di Sartori perché si impegna, in “direzione ostinata e contraria” rispetto a quanto suggeriscono le cronache e i dati empirici, ad elaborare un modello teorico di democrazia in cui il valore degli esperti possa trovare spazio nuovo, ampio e solido.

    La difficile convivenza dell’ideale democratico, legato all’eguale partecipazione di tutti, con l’esigenza di riconoscere un principio qualitativo, legato al valore della verità e degli esperti, è un classico problema della filosofia e della teoria politica. Tuttavia, il problema del ruolo degli esperti in democrazia è, oggi, ancora più urgente che in passato, per alcuni motivi.

    Si sta verificando una scomposizione della democrazia rappresentativa fra componente esperta e componente popolare

    Innanzitutto, perché la sfera pubblica su Internet mette in crisi il tradizionale ruolo degli esperti per la formazione dell’opinione pubblica. Li mette in crisi “positivamente”, e il simbolo di ciò è Wikipedia, un’enciclopedia digitale che raccoglie la conoscenza in maniera orizzontale, fuori dai circuiti tradizionali della trasmissione gerarchica della conoscenza e dei saperi esperti. Li mette in crisi anche “negativamente”, e il simbolo sono le echo chambers, come spiegano alcune recenti analisi sociologiche. Ad esempio, se un autorevole medico si reca in una comunità digitale composta da utenti che credono che i vaccini siano molto pericolosi, e cerca di interagire con loro spiegando le ragioni della medicina ufficiale, le sue spiegazioni non vengono riconosciute. Anzi, fanno l’effetto contrario, provocando un effetto di “ritorno di fiamma” (in una sorta di riedizione 2.0 del mito della caverna platonico).

    In secondo luogo, come sostengo nel mio ultimo libro “Potere digitale” (Meltemi 2018), si sta verificando una “scomposizione della democrazia rappresentativa” fra componente esperta e componente popolare. I partiti di massa tradizionali riuscivano ad unire la classe dirigente, l’élite del partito (composto da professori, avvocati, giuristi, imprenditori eccetera) con il popolo da mobilitare (composto da casalinghe, impiegati, operai, artigiani eccetera). I partiti di massa tradizionali permettevano, soprattutto, la selezione dei governanti. Ora, invece, i leader non si programmano, ma emergono semplicemente.

    Con la crisi dei partiti di massa, va in crisi il “compromesso storico” che conciliava la presenza di élites, di esperti con le procedure democratiche egualitarie e con la partecipazione dal basso. Attualmente, invece, come segnala allarmato Peter Mair in “Governare il vuoto” (Rubbettino 2016), gli esperti si stanno “riparando” in istituzioni lontane dal popolo, le cosiddette istituzioni non maggioritarie come la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale, le autorità indipendenti, mentre il popolo mostra sentimenti anti-establishment sempre più forti, nutrendo una delle tre caratteristiche principali del populismo (le altre due sono il rapporto diretto leader-popolo e l’insofferenza nei confronti del diverso).

    In sintesi, gli esperti si stanno allontanando dal popolo, e al tempo stesso il popolo si sta allontanando dagli esperti. Molto opportunamente, Prijić Samaržija in “Democracy and truth” si chiede, quindi, se siamo obbligati a scegliere fra una deriva tecnocratica o una democrazia intesa nel suo modo deteriore, ovvero come governo della massa, del volgo, del popolino, magari contro gli esperti, come sembrano evocare i populisti – lo spiega con tinte forti Mauro Barberis nel suo “Come Internet sta distruggendo la democrazia” (Chiarelettere, 2020).

    In sintesi, gli esperti si stanno allontanando dal popolo, e al tempo stesso il popolo si sta allontanando dagli esperti

    La risposta di Prijić Samaržija è che gli esperti, per definizione e per formazione, hanno più successo nel superare e riconoscere i pregiudizi e gli errori e che, poiché gli esperti possono migliorare la qualità epistemica del processo decisionale, dovrebbero avere un ruolo nella democrazia. Non possiamo – rivendica Prijić Samaržija – sacrificare le virtù epistemiche sull’altare di quelle etiche e politiche, come pensano sia giusto i proceduralisti, rifiutando di riconoscere il valore epistemico intrinseco che possono avere le decisioni. Rinunciare alla verità è troppo pericoloso a causa dei risultati (dannosi) che potrebbero avere, altrimenti, le scelte democratiche. Da un punto di vista normativo, secondo Prijić Samaržija, è dunque necessario postulare l’importanza della virtù epistemica della verità, della correttezza e della capacità di risoluzione dei problemi. Secondo la filosofa croata, il dilemma tra democrazia ed esperti è un falso dilemma perché i valori democratici ed epistemici possono essere bilanciati e armonizzati.

    Come? Il nuovo punto di equilibrio e di armonia fra verità e democrazia si può trovare, secondo Prijić Samaržija, nella “reliability democracy” (“democrazia affidabile”), un modello politico nel quale le istituzioni, le pratiche sociali e i sistemi sono giustificati se ricorrono a procedure, metodi e meccanismi affidabili, capaci di produrre credenze e decisioni su cui è possibile fare affidamento (p. 18). Questo obiettivo si può raggiungere arricchendo il dibattito pubblico con il contributo stabile degli esperti: Prijić Samaržija non pensa ad una tecnocrazia separata dal popolo, e nemmeno ad una democrazia in cui si postula che tutti debbano dare lo stesso contributo o in cui addirittura si emarginano gli esperti, ma una democrazia in cui gli esperti sono inseriti e valorizzati strutturalmente.

    Ad esempio “possibili aggiunte ai dibattiti pubblici, che devono essere introdotte e coltivate, sono reti di esperti con background diversi e di varie istituzioni che monitorano l’attuazione delle politiche; l’imperativo di presentare pubblicamente le politiche e i loro risultati al fine di consentire revisioni e critiche da parte della cittadinanza, team competitivi di esperti che propongono diverse politiche al fine di rendere altri team più motivati a migliorarle, meccanismi di educazione o informazione ai non esperti per renderli più in grado di valutare gli esperti. Queste e simili procedure hanno la qualità di essere “finalizzate alla verità”: gli esperti hanno un posto chiave nel processo decisionale” (p. 213).

    Non è chiaro come selezionare un esperto nel momento giusto e per la giusta situazione. Un Ministro alla Salute medico è un esperto?

    Tuttavia, ci poniamo alcune questioni. Ammesso che sia opportuno o necessario farlo, è sufficiente implementare queste procedure per salvare la “verità” (nel senso di correttezza) e il valore della conoscenza nella democrazia contemporanea? Queste procedure a cui accenna Prijić Samaržija sono sufficienti per fare in modo che i leader non “emergano” più soltanto, ma possano crescere ed essere selezionati opportunamente? Sono domande aperte, che lasciamo al lettore. Continuando, chi seleziona l’esperto? Nel libro l’autrice spiega le ragioni per cui in genere attribuiamo uno status epistemico speciale agli esperti: ad esempio, gli esperti sono superiori nel risolvere i problemi e nel formare credenze corrette, mentre i non esperti dipendono epistemicamente dagli esperti nel risolvere i propri problemi (pensiamo al malato che si reca dal medico, per restare nella metafora sanitaria).

    Tuttavia, non è chiaro come selezionare – in democrazia – un esperto nel momento giusto e per la giusta situazione. Ad esempio, un Ministro alla Salute medico è un esperto? Un oncologo, un oculista, un chirurgo sa guarire le persone, e conosce ottimamente i problemi degli ospedali, ma non sa come fare funzionare un ministero, non sa come si prepara un emendamento in Parlamento.

    Oppure un Ministro della Salute politico di professione è un esperto? Conosce come fare funzionare un ministero, sa come presentare un emendamento in Parlamento, ma non conosce direttamente i problemi degli ospedali. Sappiamo cosa è un sapere esperto, ma sappiamo riconoscere e valorizzare gli esperti in carne ed ossa in un contesto politico? La democrazia si occupa di questioni complesse ed estese. Il sapere, invece, è così specializzato che un esperto può dare un parere molto limitato, e appena esce dal suo campo di interesse potrebbe dare un parere scorretto. Non solo i contenuti delle conoscenze potrebbero diventare inadeguati, ma anche il modus cogitandi.

    Qualunque professore di architettura che ha ristrutturato casa sa bene che un muratore ha conoscenze esperte che il professore non ha. Il professore e il muratore sono due esperti, nei loro relativi campi. In un certo senso, ogni cittadino è un esperto in un campo preciso. Parafrasando Shakespeare, “ci sono più saperi esperti in cielo e in terra, Orazio, di quanti ne possa comprenderne la tua filosofia.”.

    Ciò, forse, complica l’applicazione dell’interessante teoria di Prijić Samaržija, ma al tempo stesso, sicuramente in parte, la conferma: è di fatto impossibile dare vita ad una tecnocrazia legittimata su basi oggettive. Quello che, invece, ci resta da fare è valorizzare, volta per volta e faticosamente, le conoscenze diffuse presenti nella società e fra gli esperti, in una democrazia che non sia cieca nei confronti del valore della verità, come invece a volte sembra essere spesso, troppo spesso, quella in cui viviamo.

    Note