Se l’economia digitale vuole fiorire deve risolvere il problema della mancanza di attenzione

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Luca Sossella Editore, con Emilia Romagna Teatro Fondazione e Gruppo Unipol, ha ideato il progetto Oracoli. Saperi e pregiudizi ai tempi dell’Intelligenza Artificiale: una serie di azioni integrate dedicate all’emergenza delle tecnologie intelligenti e al loro impatto su tutti gli aspetti dell’esistenza umana.

    La prima di queste azioni è l’organizzazione a Bologna di quattro lezioni-spettacolo in cui esperti di livello internazionale ragioneranno sulle più rilevanti questioni etiche, filosofiche, politiche, sociali ed economiche connesse allo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

    La seconda di queste azioni è una pubblicazione, curata da Paolo Gervasi, scaricabile in pdf qui, che racconta il progetto e approfondisce la riflessione sui temi nodali.

    La terza di queste azioni è una partnership con cheFare pensata per aumentare ed espandere online il dibattito sulle sfide culturali poste dall’intelligenza artificiale. Qui la serie.

    La quarta azione è la produzione di video e di un libro sulle quattro lezioni-spettacolo.

    La quinta azione sarà la messa in onda durante la Notte di Radio3, la sera prima di ogni lezione-spettacolo, della lezione-spettacolo precedente.

    La sesta azione è la pubblicazione online delle trasmissioni sui portali di Rai Radio3 (Media partner di Oracoli), Rai Cultura e Rai Scuola e la condivisione attraverso i loro canali social.

    Il primo settembre del 1969 l’economista Herbert Simon tiene una conferenza alla Carnegie-Mellon University, siamo a Pittsburg in Pennsylvania. Poche settimane prima Neil Armstrong aveva posato il suo piede sulla luna, con quel passo gli Usa avevano dato una risposta alla costante supremazia sovietica nello spazio.

    Nei dintorni di Bethel, nello stato di New York, si stava ancora ripulendo l’area dove si era svolto il Festival di Woodstock in piena estate, fra il 15 e il 18 agosto, tre giorni di pace amore e sballo, che resterà nella memoria come il più grande concerto nella storia della musica dal vivo.

    Quando Simon si appresta a intervenire nell’aula dell’Università, lo scrittore che ha segnato l’intero decennio con il suo vagabondare da una costa all’altra del Paese, Jack Kerouac, sta vivendo i suoi ultimi giorni nell’esilio di St Petersburg, Florida. Lo scrittore è ormai posseduto dall’alcol, che ha minato profondamente la sua salute. Morirà nel bagno della sua villetta il 25 ottobre di quell’anno. A nulla servirà un disperato tentativo di salvarlo dalle conseguenze di un’emorragia interna.

    Si chiudono così gli anni Sessanta, forse la fine dell’era della rivoluzione giovanile e l’avvio di una nuova era, dove è la tecnologia a farsi avanti a grandi passi. Se lo osserviamo con gli occhi del 2019, è forse nel 1969 che si chiude davvero il secolo breve delle rivolte, delle trasgressioni, dei sogni, delle guerre.

    Saranno gli adolescenti di quegli anni a inaugurare il secolo delle tecnologie che si apre forse con i primi oggetti inventati da Steve Jobs, figlio della controcultura e padre della tecnologia domestica, a metà degli anni Settanta.

    Quella mattina del 1° settembre del 1969, Herbert Simon si prepara a intervenire sul tema delle organizzazioni aziendali nella nuova società dell’informazione. L’argomento della relazione tenuta da Herbert Simon appare molto tecnico, ma l’economista sorprende tutti i presenti con un intervento che disvela un mondo che sembra appartenere alle visioni orwelliane di 1984 o a quelle dell’Arthur C. Clarke di The Sentinel.

    Simon sembra aver letto il racconto di Clarke e visto il film che Stanley Kubrick ne ha tratto nel 1968, 2001 Odissea nello spazio. Come è noto, Arthur C. Clarke collaborò alla stesura della sceneggiatura del film, pubblicando poi una nuova e più ampia versione del racconto.

    Quando c’è ricchezza di un elemento, necessariamente ci deve essere mancanza di qualcos’altro. In una società ricca d’informazione deve dunque mancare qualcosa: questo qualcosa è l’attenzione

    Eppure Herbert Simon ha poco a che vedere con le narrazioni: nel 1978 vincerà il Nobel per i suoi studi sulle organizzazioni complesse. Quel giorno del 1969 Simon prende il microfono e afferma: “È arrivato il momento di occuparci delle conseguenze che la tecnologia può avere nelle nostre vite. L’evoluzione tecnologica procede a grandi passi, ma non accade lo stesso alla nostra capacità di analizzarne le conseguenze. Dovremmo forse testare le nuove tecnologie, prima di renderle disponibili a tutti. Forse in questo modo faremmo meno danni. E poi da economista delle organizzazioni aziendali, ma anche da studioso sensibile alla natura umana, propone una relazione strettissima fra lo sviluppo di una società dell’informazione e la nostra capacità di star dietro a un’abbondanza di dati.

    Lo fa partendo da un esempio folgorante. Dice Simon: «Recentemente, i miei vicini di casa hanno regalato due conigli alla loro bimba, in occasione del suo compleanno. Casualmente, o forse no, i conigli erano un maschio e una femmina. Ora io vivo in una società ricca di conigli! Ma si dà il caso che quando c’è ricchezza di un elemento, necessariamente ci deve essere mancanza di qualcos’altro. Infatti ora nel mio giardino c’è scarsità di lattuga. Era inevitabile!»

    Quindi Herbert Simon va al punto. E parla di tutti noi, non più solo della bimba, dei conigli e della sparizione della lattuga. “In una società ricca d’informazione deve dunque mancare qualcosa: questo qualcosa è l’attenzione”. Ecco fotografata la nostra esistenza, nel secolo delle tecnologie e dell’informazione.

    Un eccesso d’informazione ha come conseguenza la perdita della capacità di dedicare la necessaria attenzione a quanto accade intorno a noi.

    Da quel settembre del 1969 sono passati 50 anni. E l’intuizione di Simon si è confermata. Oggi siamo molto più ricchi di informazione di 50 anni fa, ma anche solo di 5 anni fa. E, seguendo la teoria di Simon, possiamo immaginare forse che la nostra attenzione è calata di conseguenza. La mancanza di attenzione sta modificando i nostri stili di vita, i consumi culturali, la nostra capacità di apprendimento, ma per restare sul terreno caro a Simon, sta facendo crollare il modello di business tradizionale dell’industria televisiva, di quella editoriale, e dei media in generale. E, ciò che è più grave, impedisce lo sviluppo del digitale, strozzato da un paradosso imprevedibile fino a pochi anni fa.

    Il mercato dei contenuti digitali coinvolge un pubblico sterminato, quasi 3,4 miliardi di persone nel mondo, ma che, per la gran parte, non è disposto a spendere per i contenuti che riceve.

    Da sempre abituati a consumare contenuti gratis dalla rete, facciamo fatica a pagarli e così siamo al paradosso che le poche centinaia di migliaia di lettori che ancora comprano il New York Times in edizione stampata pagano 21 dollari a settimana per poterlo leggere su carta, i milioni di lettori che leggono gli articoli dal quotidiano in digitale, lo fanno gratis o per meno di 2 dollari a settimana se sono abbonati.

    Il digitale sembra valere ancora poco per il lettore e di conseguenza anche per gli investitori pubblicitari, anche loro disposti a pagare pochissimo per i loro annunci, spot e video promozionali.

    La rete consente di misurare tutto: quanto tempo passiamo su un sito o nella lettura di un e-book. Come sappiamo i numeri sono deludenti. Il tempo medio di permanenza nei siti si misura spesso in secondi, di rado si supera il minuto. E questa sta facendo crollare l’illusione di un pubblico attento e concentrato su quanto sta seguendo. Un pubblico che forse non esisteva nemmeno nell’era della carta stampata e della tv tradizionale, ma allora era più difficile misurarne i comportamenti.

    Oggi i produttori di contenuti stanno cercando di dar valore non più al numero di lettori, visitatori, clienti che riescono a intercettare, ma al tempo che passano sulle pagine web

    Ecco dunque la spirale perversa del digitale da cui sembra difficile uscire. Tanto pubblico, ma distratto, tanto spazio per la pubblicità, ma poco valore aggiunto. Al punto che oggi i produttori di contenuti (complicato chiamarli ancora editori), stanno cercando di dar valore non più al numero di lettori, visitatori, clienti che riescono a intercettare, ma al tempo che dedicano on line. Certo il tempo dedicato non significa necessariamente attenzione, ma da qualche parte bisogna pur cominciare a rivedere le proprie strategie se si vuole ricostruire una nuova economia dei media, che mai come ora vive di un paradosso che occorre superare.

    Abbiamo un comparto, quello dei vecchi media, si pensi in particolare alla stampa, che continua a perdere copie, pubblicità e lettori e un segmento digitale che ha un pubblico apparentemente enorme, meglio chiamarli visitatori, formato da individui che passano pochi secondi sui siti o nelle app e che sono poco disposti a pagare poco o nulla per i contenuti che ricevono. Questo genera un mercato pubblicitario insufficiente a garantire un sano sviluppo del settore.

    Per superare tutto ciò è necessario valorizzare e far crescere un pubblico che invece dedica più tempo ai contenuti, soffermandosi nella fruizione di argomenti che richiedono più tempo e attenzione. E soprattutto dimostrando ai potenziali investitori pubblicitari che anche nel digitale è possibile individuare target di qualità con livello di studio o di reddito superiore, un pubblico disposto a spendere e che al tempo stesso può permettere ai produttori di contenuti di vendere meglio gli spazi pubblicitari intorno a quel tipo di pubblico.

    Sono ormai diversi anni che i media, fra questi il New York Times, il Guardian e l’Economist, stanno sperimentando piattaforme tecnologiche in grado di profilare meglio il proprio pubblico con lo scopo di definire quali contenuti e argomenti, e quali approcci giornalistici, possono consentire di aumentare il valore dei loro siti.

    L’analisi dei dati prodotti da queste piattaforme consentono di studiare quasi in tempo reale le reazioni del pubblico ai temi trattati e a come vengono rappresentati. E, di conseguenza, fornire agli inserzionisti pubblicitari elementi utili per investire meglio il loro denaro.

    Siamo solo agli inizi, ma la strada sembra essere questa appena descritta. A patto di superare un altro ostacolo che appare per ora insormontabile e che confermerebbe l’intuizione di Herbert Simon.

    Le ricerche, ormai numerose, sulla lettura digitale, confermano una difficoltà dei lettori a mantenere lo stesso livello di comprensione, ricordo ed empatia riscontrabile nei lettori della carta. Insomma, in attesa di un lettore digitale in grado di godere di un testo come quello tradizionale, sembra proprio che la ricchezza di informazione debba portare con sé un conseguente impoverimento della nostra attenzione.

    Superare questo gap è la vera scommessa per una piena economia digitale.


    Immagine di copertina da Unsplash: ph. Julius Drost

    Note