Tutti i numeri dell’Estate Sforzesca 2019 di Milano, una prova aperta di innovazione culturale

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    Piedi leggerissimi che sulle punte attraversano il palco, le sonorità piene dell’orchestra al gran completo, le parole potenti dei grandi classici. Il ballo che scatta incontenibile con gli evergreen degli anni ’60, il groove ipnotico del jazz che ti ammalia fin dalle prime battute.

    E ancora: il rock duro che fa scatenare i ragazzi di ogni età, l’hip-hop più di tendenza che richiama i più giovani rimasti a Milano e la musica elettronica ascoltata nelle cuffie silenziose che rende le danze surreali, il teatro leggero delle risate estive, goduto con gli amici e una la birra seduti sull’erba dopo il lavoro,  Mecna, Gio Evan, Nada, Giovanni Truppi, Cristina Dona, Elend Oye, Fabrizio Bosso, Giovanni Falzone, Incognito, Chucho Valdés , Omar Pedrini, Le cannibale e il teatro di Tournée da bar, Walter Leonardi, Almarosè, il Teatro del Buratto; la danza del Balletto di Milano, Dancehouse e Milano Contemporany Ballet; La civica Orchestra di Fiati, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, la Big Band di Paolo Tomelleri e naturalmente, il concerto speciale di Ferragosto con i fuochi d’artificio musicali dell’Orchestra Verdi al gran completo.

    Questa, e non solo, è Estate Sforzesca: una rassegna di oltre 80 spettacoli rivolta davvero a tutta la città, per tutti i generi e per tutti i gusti, con un’offerta artistica premiata dal pubblico e dalla critica con oltre 45.000 persone che hanno vissuto da giugno ad agosto il meraviglioso Cortile delle Armi del Castello Sforzesco.

    A vederla così, è proprio la magia dello spettacolo. Un enorme lavoro che, nel momento in cui va in scena, sembra immediatamente trasformarsi in altro… per poi inesorabilmente sparire. Sul palcoscenico tutto è costruito per questo incantesimo, affinché lo spettatore si immerga in quest’atmosfera senza percepire la fatica di chi ha reso possibile quella visione e quelle emozioni. Quasi tutto è nascosto, progettato e organizzato altrove molti mesi prima, con ore di studio, prove e messa a punto di ogni dettaglio che all’occhio dello spettatore comune sfugge perché tutto sul palco fila liscio e scorre da solo.

    Anche l’innovazione culturale è così: quando funziona, è impalpabile. Come sul palcoscenico, sembra che tutto funzioni senza fatica ma in realtà è tremendamente umana, faticosa e concreta: fatta di idee e sperimentazioni, di tentativi ed errori continui, di prove e di ripetuti infiniti aggiustamenti tra ogni ingranaggio.

    La si può scorgere un poco scostando il sipario durante prove, molto prima che si vada in scena. Per me, in fondo, è proprio quello il momento più magico.

    Dal punto di vista gestionale lo spettacolo dal vivo è uno dei settori meno innovativi al mondo. Se fossimo davvero in una prova teatrale potreste vederlo come un elegantissimo signore di una certa età, maturo e molto sicuro di sé, che grazie alla sua esperienza ci sa però regalare ogni volta e in forme diverse emozioni sempre nuove.

    Le sue pose principali e i suoi movimenti rimangono invariati da secoli, esattamente come le forme organizzative ed economiche di una commedia, di un concerto o di un qualsiasi genere di spettacolo che rimangono più o meno uguali da oltre 25 secoli per colpa di quella strana malattia chiamata Morbo di Baumol.

    Da sempre la cura per il “cost disease”, che sbilancia costi di produzione e possibilità di vendita a prezzi accessibili, è a carico di un soggetto terzo e fatte salve le grandi storie di mecenatismo privato, chi si fa carico di ridurre questo squilibrio sono tradizionalmente soggetti pubblici come lo Stato o gli enti locali.

    Nelle nostre prove aperte però, i comuni sono personaggi ottocenteschi perennemente in affanno. Abituati a epoche di agi, possibilità e bilanci che oggi non esistono più, devono invece oggi fare i conti con tagli che ne limitano fortemente l’azione e impongono scelte radicali: ridurre drasticamente l’offerta – tanto quanto si riduce il contributo che l’ente locale può fornire – o scardinare il modello, cambiandolo completamente per cercare di mantenere alta l’offerta e il risultato finale? Come è possibile costruire una rassegna di prestigio senza che l’ente locale subisca un salasso?

    Come ampliare la partecipazione dei soggetti culturali, dando a tutti le stesse condizioni di partenza e stimolarli davvero sul terreno della qualità? Come offrire un intrattenimento popolare e accessibile ai cittadini che rimangono in città e ai tantissimi turisti in cerca di intrattenimento serale?

    È proprio qui, da dietro le quinte, che entra in scena, l’innovazione culturale: non un deus ex machina improvviso ma un personaggio che battuta dopo battuta è destinato a cambiare le regole e le relazioni stesse tra i protagonisti in modo strutturale.

    Fin dalle prime edizioni Estate Sforzesca ha provato a cambiare il modello tradizionale del finanziamento alle rassegne estive di spettacolo provando a migliorare innanzitutto il modello gestionale e di ingaggio economico delle compagnie.

    Il punto principale è la scelta di non contribuire più a singoli spettacoli o proposte artistiche chiavi in mano ma di investire su alcuni elementi strutturali che rendono possibile paradossalmente ogni tipo di spettacolo.

    Non si è più finanziato il contenuto ma il contenitore: un palcoscenico importante, ben attrezzato dal punto di vista tecnico, attivo tutta l’estate in una location meravigliosa, centrale e di massimo prestigio come il Castello Sforzesco, dotato di punto bar e ristoro dedicato e promosso, indipendentemente dalla notorietà del singolo spettacolo, da una campagna di comunicazione completa e coordinata.

    Tutto attraverso un bando di gara pubblico costruito con attenzione e competenze amministrative specifiche per tutti questi aspetti.

    Non solo contenitore: una call pubblica aperta alle piccole alle grandi realtà del territorio è stata lo strumento per riempire di contenuti ampi e trasversali il ricco palinsesto estivo.

    Tutti sono stati liberi di partecipare e di decidere il prezzo adatto a raggiungere la propria sostenibilità economica. Un rischio imprenditoriale fortemente ridotto grazie all’infrastruttura di servizi tecnici e organizzativi messi a disposizione.

    I risultati: la rassegna estiva più lunga e densa d’Italia con 81 spettacoli non stop da giugno ad agosto, di cui ben 23 sold out e 22 ad ingresso completamente gratuito, 150 artisti coinvolti e oltre 45 mila partecipanti

    Per l’ente pubblico e per la città: un’offerta culturale 10 volte superiore a quello che un comune avrebbe potuto finanziare direttamente, considerando che il costo medio sostenuto dall’amministrazione pubblica per ogni spettacolo è stato inferiore ai 4 mila euro. Ancor più interessante il rapporto tra investimento ed economie generate: su circa 270 mila euro annuali di costo della rassegna si è generato un volume d’affari di oltre il doppio tra biglietteria, cachet, servizi accessori, ristorazione, indotto alberghiero e occupazionale.

    Per gli sponsor: un investimento moltiplicato per il numero di serate realizzate, molto maggiore in termini di ampiezza e tipologie di pubblico raggiunti rispetto a un modello di intervento tradizionale. In sintesi: un modello culturale ed economico del tutto e da tutti sostenibile, in una logica win-win, fortemente replicabile ovunque.

    E per finire, come in ogni rappresentazione che si rispetti, insieme ancora ad alcune cose fisiologiche da migliorare, c’è un piccolo grande cammeo che impreziosisce e dà valore all’intera operazione e che afferma che l’innovazione e la sostenibilità non sono nulla se non comprendono l’ambiente in cui viviamo.

    Estate Sforzesca 2019 è stato infatti il primo grande evento milanese totalmente plastic free ed eco-friendly grazie alla collaborazione di Legambiente e al contributo di importanti sponsor come Edison e Novamont.

    In questa rassegna il tema ambientale è stato come un ragazzino irruente che non può passare inosservato, di quelli che entrati all’ultimo in compagnia vi dimostrano che ciò che sembra impossibile – o quello a cui i “grandi” non credono – alla fine non solo si può fare ma di venta l’elemento più apprezzato e necessario di tutta la messinscena.

    Seguitelo, vedrete che nella prossima edizione ve ne mostrerà ancora delle belle.

    Note