Finanziare gli spazi civici come infrastrutture culturali: gli esempi di Bratislava, Rotterdam e Lisbona

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    In molte città europee, come conseguenza della crisi politica ed economica del passato decennio, il settore pubblico ha gradualmente ridotto l’erogazione di alcuni servizi, in particolare quelli legati alla sfera sociale e culturale.

    In alcuni casi, organizzazioni e gruppi di cittadini si sono impegnati a fornire quei servizi che non erano più offerti dalla pubblica amministrazione. Il crescente bisogno di infrastrutture e servizi alternativi che fossero autosufficienti e comunitari ha avuto un impatto significativo sullo sviluppo della nuova città pubblica. Questi spazi comunitari sono diventati nuovi centri culturali e sociali in quartieri spesso carenti nell’offerta pubblica in termini di educazione, attività culturali ed inclusione sociale. Questo tipo di iniziative esistono in varie città europee, con sfumature diverse a seconda del contesto specifico, e variano dalla gestione di spazi verdi a spazi per eventi, da mense sociali a luoghi di educazione auto-organizzata.

    L’articolo indaga alcuni casi sviluppati a Bratislava, a Rotterdam e a Lisbona, mostrando il trend crescente in Europa e mettendo in luce i diversi rapporti delle comunità con altri attori locali, siano essi il settore privato o l’amministrazione pubblica.

    Fenomeni sul territorio

    La contrazione del welfare in combinazione con la crisi economica ha creato in molti contesti una grande vivacità di iniziative civiche sul territorio che forniscono una serie di servizi spesso integrati, perché di varia natura, e spesso su scala del quartiere, perché unità socialmente riconoscibile.

    Guardando la realtà poliedrica che ci troviamo di fronte, vedremo una commistione di attività culturali e sociali che si alternano nel corso della giornata per animare spazi vissuti da diversi segmenti della società. Corsi di lingua per stranieri, yoga per giovani genitori, concerti a costi accessibili, gruppi di acquisto solidale ma anche educazione ad un’alimentazione sana o doposcuola sono solo alcune delle varie attività che troviamo negli spazi di aggregazione.

    Gli spazi civici non sono né strettamente culturali né sociali, ma una fusione di vari significati

    Questi spazi civici non sono né strettamente culturali né sociali, ma una fusione di vari significati che consente a gruppi diversi di potersi riconoscere. Se questi spazi creano inclusione sociale tramite le proprie attività socio-culturali è anche vero che molti di loro stanno esplorando nuovi modelli di impiego, creando posti di lavoro all’interno di una visione dell’economia più inclusiva.

    Le attività sul territorio sono di varia natura, ma quelle più stabili tendono ad essere quelle che dispongono di uno spazio di azione, non necessariamente esclusivo, e di risorse economiche che consentano la retribuzione del personale e la copertura dei costi vivi. Detto questo, i Beni Comuni di Napoli o gli spazi auto-gestiti di Ghent offrono servizi al quartiere di grande rilievo ma al momento esulano dalle regole del mercato grazie alla collaborazione delle amministrazioni pubbliche o di proprietari privati, una circostanza difficilmente replicabile in tutti i contesti.

    Infrastrutture culturali pubbliche con gestione civica: il mercato Stará Tržnica a Bratislava
    Alianca Stará Tržnica è un’associazione che gestisce il vecchio mercato, un edificio storico nel centro di Bratislava. L’edificio fu chiuso dopo anni di tentativi senza successo da parte del Comune di tenere il mercato vivo. Anni dopo, il mercato fu riaperto grazie alla proposta di rigenerazione portata avanti da Alianca, che proponeva la combinazione di un mercato alimentare ogni sabato con eventi culturali durante gli altri giorni della settimana, assieme all’apertura di due caffetterie, un negozio di generi alimentari, una scuola di cucina e un locale di produzione di gassosa.

    Lab opera su base associativa e sta contribuendo alla crescita di una comunità

    L’associazione paga un affitto simbolico di un euro al Comune, ma deve reinvestire 10.000 euro al mese nella ristrutturazione dell’edificio. Ripensare alle funzioni all’interno del mercato ha consentito ad Alianca di gestire il mercato in una maniera economicamente sostenibile, investendo  sulla rigenerazione del mercato e creando un nuovo spazio di aggregazione e di eventi nel cuore della città.

    Come racconta Jan Mazur durante l’intervista, il mercato di Stará Tržnica integra varie funzioni: «Lab è un’officina dove si lavora con diverse tecnologie per la fabbricazione digitale usando laser cutter e stampanti 3D. Ha una parte aperta al pubblico e uno spazio nel sottoscala con macchinari per la lavorazione del legno e altro.

    Lab opera su base associativa e sta contribuendo alla crescita di una comunità che usa questo tipo di servizi. C’è anche un piccolo bar dove chiunque può sedersi e mettersi a lavorare, magari per tutto il giorno, pagando anche solo un caffè. Poi abbiamo un ristorante self-service dove compostano tutti i loro rifiuti organici. Speriamo che questo possa diventare un esempio di riciclaggio per tutto il mercato e anche per il vicinato.

    C’è anche una drogheria- volevamo un negozio che vendesse prodotti il più possibile a km zero. Sull’altro lato c’è un altro bar, gestito da una cooperativa sociale che impiega anche persone senzatetto. All’interno del mercato ci sono altri tre esercizi: una scuola di cucina che prepara cibo anche per asili, ristoranti vicini e dà lavoro a rifugiati; poi c’è un laboratorio di birra artigianale ed un produttore di soda, di cui anche noi siamo azionisti.

    Infine, organizziamo un bazaar dove si possono donare cose, ed utilizziamo i proventi per la ricostruzione dell’edificio: non genera molte entrate ma in compenso serve a mantenere più forte il senso di comunità».

    Il mercato di Stará Tržnica offre la possibilità di garantire la funzione di mercato ogni sabato ma di avere anche una serie di altre attività che interagiscono con gruppi sociali diversi per età, interessi e possibilità economiche. Stará Tržnica riesce a mantenere una sostenibilità economica grazie alla sua posizione centrale e alla capacità dell’associazione che lo gestisce, che ha avuto precedenti esperienze nella gestione di eventi e locali, di orchestrare diversi usi.

    Reti di quatiere per servizi socio-culturali: la Cooperativa Afrikaanderwijk a Rotterdam

    La Cooperativa Afrikaanderwijk opera nella parte sud di Rotterdam ed è nata all’interno di un progetto artistico della Fondazione Freehouse, in cui venivano affiancati artisti agli operatori del mercato, col fine di ravvivarne l’offerta.

    Il lavoro della cooperativa iniziò con la mappatura delle competenze non riconosciute all’interno del quartiere dell’Afrikaanderwijk, caraterizzato da un basso livello di educazione formale e da un alto tasso di disoccupazione.

    Sulla base delle competenze identificate, la cooperativa ha inoltre creato nuove cooperative che aiutano i residenti ad usare le proprie capacità tramite un servizio di catering, che usa una cucina di quartiere, una cooperativa di cucito, che lavora per l’alta moda, ed una di pulizie, tramite cui la cooperativa partecipa a bandi pubblici per erogare servizi di pulizia nel mercato e nelle abitazioni sociali del quartiere. Oggi la cooperativa aggrega imprenditori, produttori ed organizzazioni sociali attorno a spazi di lavoro e al mercato, con l’obiettivo di portare flussi economici nel quartiere e creare posti di lavoro per gli abitanti locali.

    «12 nazionalità diverse lavorano insieme e già da tre anni abbiamo smesso di ricevere sussidi»

    Annet Van Otterloo, che gestisce molte delle attività della cooperativa, racconta della loro esperienza: «Dopo l’iniziativa del mercato ci siamo allargati. Abbiamo incontrato molte persone che stavano già creando reti informali. Molte di queste persone lavoravano nell’ambito del cibo, ma non potevano né vendere né guadagnare realmente perché non avevano cucine professionali.

    C’era una cucina inutilizzata nel quartiere, così abbiamo dato accesso a questi cuochi per fare in modo che organizzassero insieme un servizio di catering. Lo avevamo fatto partire con un fondo artistico-culturale della durata di 2 anni, adesso ci sono 12 nazionalità diverse che lavorano insieme e già da tre anni abbiamo smesso di ricevere sussidi. Lavorare insieme in questa cucina cooperativa ha reso queste persone economicamente indipendenti ed occupate».

    L’evoluzione delle attività della cooperativa si muovono pertanto da una produzione di attività culturali ed artistiche per garantire la rianimazione degli spazi e l’inclusione dei suoi abitanti fino a creare una rete di servizi che consentono anche di creare impiego.

    «Con la cooperativa non ci concentriamo più soltanto sulla produzione culturale, ma apriamo anche nuove attività. Abbiamo inaugurato una ditta di pulizie che adesso si prende cura dell’80% degli edifici gestiti dall’amministrazione immobiliare locale.

    Stamo anche proponendo al Comune di prenderci cura della pulizia del mercato, in quanto ne ha sempre bisogno ed è un posto che crea lavoro. Il 50% dei profitti va direttamente ai membri della cooperativa, il 25% resta alla cooperativa ed il restante 25% viene investito in progetti sociali e culturali. Organizziamo un’assemblea generale della cooperativa due volte all’anno, e lì decidiamo come usare questi fondi – quali nuovi processi potremmo far partire e quali progetti vorremmo concretizzare».

    Il caso della Cooperativa Afrikaanderwijk è esemplare di come iniziative di imprenditoria sociale possano assolvere sia alla funziona socio-culturale che a quella economico-professionale, garantendo pertanto una forma di inclusione sociale di gruppi fragili. Questo modello consente agli abitanti di non essere solo utenti di servizi ma di diventare promotori dell’offerta all’interno del proprio contesto.

    Note