I nuovi centri culturali sono fondamentali, ecco cosa fare per salvarli

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    Il testo che state per leggere è il risultato del percorso della prima tappa de laGuida, il Festival Itinerante dei nuovi centri culturali di cheFare.

    Si tratta di un testo lungo e articolato perché è il risultato di un percorso lungo e articolato. Per questo, abbiamo deciso di dividerlo in sezioni espandibili, nelle quali abbiamo sviluppato dettagli e approfondimenti. Le 11 proposte per politiche locali e nazionali per i nuovi centri culturali sono una sintesi che porteremo sui principali tavoli di revisione politica. Buona lettura, e un sentito grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questo primo, importante passo.

    » I nuovi centri culturali come infrastruttura nevralgica

    » 11 raccomandazioni

    » Perché cheFare si occupa di nuovi centri culturali

    » La mappa dei finanziamenti ai nuovi centri culturali in tempi di Coronavirus

    » Costruire le politiche per i nuovi centri culturali in Italia

    » I partner

    I nuovi centri culturali come infrastruttura nevralgica

    I nuovi centri culturali sono un’infrastruttura culturale e sociale nevralgica per l’Italia. Solitamente considerati residuali rispetto ai luoghi della cultura tradizionali, sono al contrario spazi culturali di prossimità il cui ruolo fondamentale è ancora più evidente nella crisi pandemica del 2020. Abbiamo approfondito altrove le caratteristiche che li distinguono, le forme di cultura che li attraversano e le strutture di criticità e di opportunità dai quali sono attraversate. Nella risposta puntuale alla crisi portata dal Coronavirus, in molte parti d’Italia i nuovi centri culturali hanno costituito la centrale operativa per forme di solidarietà di base che si sono organizzate per portare una risposta ai gruppi sociali più colpiti.

    Non solo solidarietà materiale – costituendo punti logistici per la raccolta e la distribuzione – ma anche supporto e sviluppo di progetti di cultura di prossimità. Ed è proprio alla cultura di prossimità che dobbiamo guardare in questi mesi: il dispiegamento sui territori – nei centri come nelle periferie, nelle metropoli come nelle aree interne – di pratiche culturali accessibili, distribuite, capillari che sono e saranno indispensabili perché le disuguaglianze accentuate dal coronavirus non creino ferite che non si possono rimarginare.

    In molte parti d’Italia i nuovi centri culturali hanno costituito la centrale operativa per forme di solidarietà di base che si sono organizzate per portare una risposta ai gruppi sociali più colpiti.

    Negli ultimi dieci anni i nuovi centri culturali sono proliferati, e oggi sono nell’ordine delle migliaia. Moltissimi di questi spazi rischiano di non riaprire dopo la crisi del Coronavirus, disperdendo non solo le decine di milioni di euro di investimenti fatti finora dal pubblico e dai privati ma – cosa ancor più grave – anche i capitali sociali e culturali accumulati con fatica nel corso del tempo.

    Così come sono migliaia i lavoratori (spesso precari, autonomi, saltuari) che anche a partire dalle attività dei nuovi centri culturali costruiscono il proprio reddito. Un reddito che oggi è messo repentaglio, e che molti non percepiscono da molti mesi. I pubblici, le organizzazioni, le comunità che ogni anno li attraversano sono costituiti da centinaia di migliaia di persone che oggi più che mi hanno bisogno di spazi – fisici e virtuali – per vivere la cultura come un’esperienza quotidiana.

    11 raccomandazioni

    Come esito di un lavoro sul campo durato anni – svolto attraverso progetti curatoriali, editoriali, di accompagnamento e di ricerca che hanno visto il coinvolgimento di centinaia di operatori, istituzioni culturali, università, centri di ricerca, ricercatori e policy maker – e come punto di arrivo del percorso della prima tappa de laGuida – svoltasi da giugno a ottobre 2020 – cheFare ha sintetizzato le seguenti 11 raccomandazioni per politiche specifiche relative ai nuovi centri culturali.

    1 – Costruire misure di sostegno sia in ottica di sopravvivenza che di consolidamento. Tenendo conto della grandissima varietà di situazioni e contesti, gli strumenti dovranno necessariamente essere variegati ed articolati; tra gli altri: convenzioni; contributi per l’affitto o l’acquisto di spazi; contributi per l’acquisto di macchinari; detassazioni o riduzioni parziali delle tassazioni; agevolazioni per la stabilizzazione del personale.

    2 – Favorire la nascita di percorsi di accompagnamento e formazione per i nuovi centri culturali e per le organizzazioni che operano al loro interno, mirati alla costruzione di nuove competenze strategiche, teoriche e pratiche; al trasferimento delle competenze sui territori; alla circolazione di competenze tra territori diversi in Italia e all’estero.

    3 – Investire sulla qualità della produzione artistica e culturale attraverso progetti specifici di produzione e circuitazione di opere e percorsi di finanziamento della direzione artistica e della curatela.

    4 – Incentivare la visibilità mediatica ed editoriale della realtà dei nuovi centri culturali, favorendo la nascita di percorsi dedicati presso i nuovi media così come quelli tradizionali.

    5 – Favorire la nascita di reti di secondo livello e il consolidamento di quelle esistenti, coinvolgendo parallelamente istituzioni come fondazioni, centri studi, università in percorsi di emersione, studio ed advocacy.

    6 – Per quello che riguarda lo studio del fenomeno, è cruciale attivare percorsi di sistematizzazione della grande mole di ricerche condotte finora in modo frammentario, in modo da produrre quadri esaustivi sia degli elementi quantitativi che caratterizzano il panorama nazionale dei nuovi centri culturali che degli impatti di medio e lungo periodo che possono avere sui territori.

    È importante trovare forme di integrazione tra le politiche locali e regionali esistenti, nell’ottica della costruzione di politiche nazionali di sistema.

    7 – È necessario dedicare un’attenzione particolare alle forme di apprendimento nella pubblica amministrazione che i nuovi centri culturali attivano sui territori, alla loro emersione da forme di sapere tacito a forme di sapere esplicito, al consolidamento ed alla circuitazione di questi saperi.

    8 – È importante trovare forme di integrazione tra le politiche locali e regionali esistenti, nell’ottica della costruzione di politiche nazionali di sistema.

    9 – Pur nel rispetto delle specificità di ognuno, è necessario considerare i nuovi centri culturali come parte integrante degli ecosistemi culturali dei territori, facilitando e sostenendo di conseguenza percorsi di integrazione, circuitazione e valorizzazione con le infrastrutture culturali pubbliche e private tradizionalmente intese: musei, biblioteche, archivi, etc.

    10 – È necessario identificare misure specifiche che sostengano progettualmente forme di partecipazione sui territori, articolando rapporti tra nuovi centri culturali, pubbliche amministrazioni, organizzazioni emergenti e istituzioni tradizionali.

    11 – È indispensabile approfondire ed ampliare vocabolari teorici ed operativi comuni, in grado di restituire la complessità dell’esistente. Le categorie oggi utilizzate – nuovi centri culturali, centri culturali indipendenti, centri di aggregazione civica, case del quartiere, community hub, creative labs, etc – si riferiscono a tipologie di luoghi variegati che riguardano processi, forme di attivazione  di contaminazione, impatti e strutture di finanziamento auspicabili anche molto diverse.

    Perché cheFare si occupa di nuovi centri culturali

    cheFare è nata nel 2012 per produrre il premio cheFare, un premio da 100.000 euro per progetti culturali innovativi. Nelle tre edizioni tra (2012-2014), il premio ha erogato 350.000 euro a 5 soggetti diversi, selezionati tra oltre 1800 progetti arrivati da tutta Italia, selezionati con l’aiuto di oltre 180.000 voti dalle comunità culturali, il lavoro di molte decine di esperti e giurati dai mondi della ricerca e della cultura. Da questa esperienza abbiamo capito che quelli che oggi chiamiamo nuovi centri culturali stavano divenendo uno dei principali crocevia dell’attivismo civico e culturale in Italia, fucine di cultura collaborativa. Per questo abbiamo deciso di cercare modi per raccontarli, studiarli e facilitare il loro lavoro.

    È in quest’ottica che tra il 2015 e il 2018 – assieme a Casa della Cultura di Milano e con il supporto di Fondazione Cariplo – abbiamo portato avanti Rosetta: un progetto culturale nomade che ha attraversato 18 nuovi centri culturali milanesi, costruendo ponti tra pubblici, luoghi e scene culturali diverse. Ed è nello stesso periodo che abbiamo finanziato la borsa di ricerca “Spazi, Lavoro e Cultura” assieme a Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

    Nell’ottobre 2019 cheFare ha organizzato Molto Presto alla Triennale di Milano: una maratona di due giorni – autoprodotta – durante la quale decine di esperti ed operatori si sono confrontati con un pubblico di centinaia di persone sui temi principali che attraversano i mondi dei nuovi centri culturali. Nello stesso periodo – grazie al sostegno del MiBACT e di SIAE, nell’ambito del programma ‘Per Chi Crea’ – lanciato Bagliore, un programma di residenze in 6 nuovi centri culturali per scrivere una nuova biografia culturale dell’Italia alla cui call hanno risposto 459 artiste e scrittori under 35 e che è divenuto un libro de Il Saggiatore in libreria da settembre.

    Molto Presto, prospettive dazione per nuovi centri culturali, alla Triennale Milano.

    A gennaio 2020 abbiamo lanciato laCall to Action, una mappatura nazionale ancora attiva è alla quale hanno risposto finora 477 nuovi centri culturali, 145 organizzazioni che operano al loro interno e moltissimi frequentanti. laCall to Action è ancora aperta, e ogni settimana nuovi centri culturali continuano a segnalarsi; nel frattempo stiamo scoprendo l’esistenza di dozzine di altre mappature complementari e cercando il modo di costruire un archivio estensivo, completo ed utile per la ricerca e la progettazione.

    Molto Presto e laCall to Action hanno costituito una “tappa zero” de laGuida: un festival itinerante dei nuovi centri culturali che attraversa l’Italia alternando momenti di formazione, riflessione e incontro tra operatori dal basso e policy maker. La tappa numero 1 de laGuida – dedicata ai nuovi centri culturali di Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta e centrata sul tema della Partecipazione – avrebbe dovuto tenersi durante tre giorni a giugno 2020. Date le limitazioni portate dalla pandemia, abbiamo deciso di trasformarla in un percorso di incontri on line e dal vivo che si sono snodati tra giugno e ottobre.

    Tra giugno e luglio 2020 si è tenuta online la prima fase de laGuida, ilCamp, 15 ore di formazione e laboratori online, con 7 tavoli riservati a più di 60 nuovi centri culturali e 3 incontri con esperti internazionali ai quali hanno partecipato complessivamente più di 550 persone. ilCamp ha favorito la nascita di nuovi legami territoriali, costruito competenze trasversali sulle forme di partecipazione, identificato elementi di criticità e strutture di opportunità.

    A gennaio 2020 abbiamo lanciato laCall to Action, una mappatura nazionale ancora attiva è alla quale hanno risposto finora 477 nuovi centri culturali, 145 organizzazioni che operano al loro interno e moltissimi frequentanti.

    Il 13 e 14 ottobre 2020 abbiamo organizzato laPiazza. Nel panel a porte chiuse “Costruire progettualità insieme ai nuovi centri culturali e i presidi civici” gli 8 partner di rete (Ateatro, Arci, Fondazione Piemonte dal Vivo, Labsus, Legambiente, NESXT, l’Orgia, Riusiamo l’Italia) de laGuida si sono presentati ai nuovi centri culturali partecipanti, spiegando come la loro attività di organizzazioni di secondo livello (reti di rappresentanza o progettisti di strumenti collaborativi) potesse essere una leva per il rafforzamento a livello nazionale e per azioni specifiche sui territori.

    L’incontro on line Mappa dei finanziamenti ai nuovi centri culturali in tempi di Coronavirus ha ricostruito la mappa delle opportunità di sostegno locale, indagando come l’arrivo del Covid abbia trasformato il modo in cui le istituzioni guardano agli spazi che operano sui loro territori e ai modi in cui esse stesse sono state trasformate da questa relazione nell’ultimo anno.
    L’incontro tenutosi dal vivo dal vivo al Polo del ‘900 di Torino, “Costruire le politiche per i nuovi centri culturali in Italia”, ha infine riunito un pubblico di stakeholder selezionati nei mondi delle politiche territoriali, della cultura e dell’economia per portare le istanze emerse durante tutto il percorso e per identificare assieme a i principali esperti italiani alcune linee di azione concreta.

    La prima tappa de laGuida è realizzata con il supporto della Fondazione Compagnia di San Paolo che, traendo spunto dall’agenda 2030 pensa ai nuovi centri culturali e ai presidi civici come spazi non solo di cultura ma anche di cittadinanza attiva. L’iniziativa ha inoltre il sostegno della Fondazione Unipolis.

    La mappa dei finanziamenti ai nuovi centri culturali in tempi di Coronavirus

    Da almeno negli ultimi 10 anni – con obiettivi, metodi e lenti interpretative diverse – policy maker ed erogatori in Italia sostengono in modi diversi i nuovi centri culturali e i presidi civici. Per alcuni il sostegno si è inserito all’interno di disegni più ampi legati all’innovazione sociale, culturale e civica. Per altri, è stato un’estensione di politiche territoriali legate alle Industrie Culturali e Creative o al terzo settore culturale. Per altri ancora, infine, si è trattato di un focus specifico di ricerca e sviluppo.

    In tutti i casi, l’emergenza del Coronavirus ha impresso drastiche accelerazioni e trasformazioni nelle politiche dedicate. Da un lato, perché i nuovi centri culturali e i presidi civici sono spesso particolarmente fragili dal punto di vista della sostenibilità economica e le misure di distanziamento, precauzione e sanificazione imposte dal virus rischiano di stroncare troppe iniziative. Dall’altro, perché il ripensamento della cultura e della coesione sociale in ottica territoriale e di prossimità sembra identificare nei nuovi centri culturali e nei presidi civici degli interlocutori ideali.

    Questo incontro de laGuida ha riunito attorno ad un tavolo virtuale i rappresentanti di alcune tra le istituzioni che hanno lavorato in modo più approfondito con i nuovi centri culturali, per interrogarsi trasformazioni delle forme di sostegno e su come le stesse istituzioni abbiano appreso e si siano lasciate trasformare da ciò che hanno imparato.

    L’intervento di Sandra Aloia (Responsabile Missione Favorire Partecipazione Attiva della Fondazione, Compagnia di San Paolo), si è concentrato sul bando Rincontriamoci, una misura straordinaria messa in campo dalla Compagnia di San Paolo per sostenere nuovi centri culturali, nuove istituzioni culturali e centri civici di Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta, in risposta alla crisi portata dal Coronavirus. Si è trattato di un bando sui generis in quanto non rivolto a progettualità costruite ad hoc – come avviene spesso – ma al sostegno diretto delle organizzazioni.

    Si è trattato di una misura importante dal punto di vista della conoscenza dei territori perché ha consentito alla fondazione di entrare in contatto anche con organizzazioni precedentemente fuori dai radar e che, in numero considerevole, non erano mai state destinatarie di contributi istituzionali di nessun tipo. Questo ha permesso, da un lato, di mappare e sostenere soggetti “dal basso” e inediti. Dall’altro, ha chiarito la necessità di stabilire interlocuzioni continuative con soggetti di secondo livello, di facilitazione e di rappresentanza.

    Dal punto di vista delle modalità organizzative interna alla fondazione, inoltre, la consapevolezza della necessità di adottare misure efficaci e urgenti ha prodotto una misura che per il ciclo di pubblicazione, accettazione, valutazione e proclamazione dei risultati ha impiegato solo 5 settimane – un arco di tempo estremamente veloce se comparato ai circa 4 mesi per le stesse attività in periodi “normali”: in soli 10 giorni sono arrivate quasi 500 domande, delle quali sono state accettate 147 per una cifra complessiva di circa 1.500.000 euro.

    Roberta Franceschinelli (Responsabile Area Cultura della Fondazione Unipolis/culturability) ha ricostruito il percorso del bando culturability tra il 2013 e il 2020, evidenziando come tra le diverse edizioni la fondazione abbia sentito il bisogno di modificare il focus e i metodi di valutazione e sostegno ai partecipanti per rispondere in modo più adeguato alle sollecitazioni che arrivano dai territori. In questo senso, un momento particolarmente significativo è stato “l’anno di pausa” del bando nel 2019, che ha portato alla decisione di smettere di sostenere l’emersione di nuovi spazi e di iniziare a lavorare sulla crescita ed il consolidamento di centri culturali attivi già da tempo, in modo da poter investire in modo più chiaro e definito su identità e specificità costruite nel tempo incidendo su due variabili specifiche: la governance interna e gli aspetti relativi qualità artistica e culturale.

    Bertram Niessen, direttore scientifico di cheFare, durante laPiazza al Polo del ‘900 di Torino.

    Per questo motivo, il meccanismo del bando 2020 ha articolato tipologie di forme di sostegno diverse in fasi diverse: liquidità attraverso le erogazioni; accompagnamento; vaucher da utilizzare con consulenti esterni. Nelle sue considerazioni conclusive, Franceschinelli ha ribadito la necessità di misure nazionali per il sostegno ai nuovi centri culturali nel fronteggiare le criticità tecnico-pratiche portate dal Coronavirus (come ad esempio le spese sostenute per le sanificazioni). Oggi più che mai, inoltre, è importante che le fondazioni siano in grado di rendersi flessibili nelle forme di erogazione e rendicontazione, ascoltando costantemente le voci dal territorio e costruendo percorsi di advocacy e mediazione verso che progetta ed implementa le politiche al livello nazionale.

    Marco Minoja (Direttore della Direzione Cultura del Comune di Milano) ha costruito il suo intervento secondo una prospettiva storica. Il Comune di Milano, per sostenere gli spazi della cultura, in passato ha adottato quelli che si possono definire come strumenti tradizionali: concessioni di immobili di proprietà del Comune; bandi per l’erogazione di finanziamenti, tradizionalmente divisi nelle macroaree dell’avviso pubblico per le attività di spettacolo, all’interno delle quali rientrano molti soggetti che gravitano attorno ai nuovi centri culturali.

    Dal 2019 la Direzione Cultura del Comune di Milano ha iniziato una mappatura delle filiera dell’offerta culturale per la redazione di un nuovo piano strategico. Con l’emergenza portata dalla pandemia si è manifestata chiaramente l’esigenza di una risposta immediata la  sopravvivenza di molte realtà. Milano ha attivato a questo proposito la misura extra-bilancio del Fondo di Mutuo Soccorso, mettendo a disposizione del settore culturale 2 milioni di euro. Un avviso pubblico improntato ad alcuni indirizzi precisi: fare presto; dare sostegno immediato all’attività dei luoghi della cultura; dare un sostegno concreto alle spese per il mantenimento dei luoghi (affitti, concessioni, utenze); dare un sostegno al danno subito a fronte delle mancate entrate dei mesi di chiusura; istruttorie di valutazione estremamente semplici.

    BAGLIORE, la nostra biografia dei nuovi centri culturali pubblicata insieme a Il Saggiatore.

    Il bando è stato pubblicato il 29 maggio e l’iter si è chiuso il 30 di luglio; sono state processate oltre 400 domande, riuscendo a finanziare oltre 260 soggetti: 85 soggetti per il sostegno alle spese fisiche; 165 soggetti per il risarcimento del bando subito. Una terza linea di finanziamento – più strategica – è stata attuata per finanziare nuove progettualità collegate ad aree territoriali, luoghi, utenze, circuiti, modi di fruizione specifici che mirassero a fare rete tra soggetti diversi, confrontandosi con tutti i modelli di parteneriato possibili. È stato il tentativo – riuscito – di dimostrare che fare rete è un modo di fare ecologia di sistema, aumentando impatti, pervasività ed efficacia. Questo bando ha raccolto oltre 70 proposte e ne ha finanziate 6.

    Per l’amministazione, si è trattato di un’occasione di studio e riflessione strategica importante. Gli indirizzi che ne sono emersi sono volti al favorire l’interazione delle filiere dell’offerta pubblica con quella di tutti i nuovi soggetti: non basta più vedere le realtà emergenti come semplice aggiunta all’offerta complessiva, ma bisogna lavorare a processi di integrazione tra biblioteche, musei, luoghi espositivi e luoghi dello spettacolo con i nuovi soggetti. Per trasformare questa visione in strategie serve la capacità di costruire strumenti descrittivi e analitici integrati, ma anche la costruzione di strategie di partecipazione con i pubblici.

    Costruire le politiche per i nuovi centri culturali in Italia

    Se è giusto considerare ogni spazio come una storia a sé, è anche fondamentale iniziare a pensarlo come parte di uno scenario più ampio e complesso che riguarda tutto il paese ed un numero potenzialmente enorme di cittadini. L’oggetto, quindi, di politiche culturali specifiche.

    Davide Agazzi è un esperto di politiche pubbliche, prima a Milano al fianco dell’Assessora Cristina Tajani e del Sindaco Beppe Sala, oggi responsabile del Laboratorio di Innovazione Urbana a Brindisi. Agazzi è entrato a gamba tesa sulle domande che laGuida pone ai policy maker, rilanciando con la visione di una politica nazionale sui nuovi centri culturali che vada oltre le singole iniziative locali.

    Per farlo, è necessario guardare ai nuovi centri culturali come a delle organizzazioni produttive, investendo dal lato del pubblico sui gruppi di lavoro dal punto di vista della stabilizzazione, della direzione artistica, dell’innovazione organizzativa. Una politica pubblica dovrebbe sostenere e finanziare gli investimenti sugli edifici, sui macchinari e sulle opere materiale e immateriali che vengono prodotte. Sarebbe necessario prevedere alcune misure che detassino alcune attività specifiche (ad esempio l’occupazione di suolo pubblico) o pensare a tassazioni agevolate.

    Un elemento cruciale sarebbe prevedere il finanziamento di interazioni tra i nuovi centri culturali e la collettività, ad esempio mettendo il lavoro di alcune progettualità al servizio di specifiche sfide collettive. Ma anche il tema della visibilità è cruciale: un ulteriore elemento potrebbe essere la facilitazione nell’accesso dei nuovi centri culturali, sia ai media locali e nazionali, sia a canali iper-locali come le affissioni pubbliche dei comuni. Un’attenzione specifica, inoltre, dovrebbe essere data al sostegno di reti che federano organizzazioni su territori diversi e che implementano le connessioni internazionali.

    Proprio guardando alle reti che stanno emergendo in questo 2020, Agazzi ha identificato due principali rischi che devono fronteggiare. Da un lato, la galassia dei nuovi centri culturali deve imparare a farsi percepire in modo diverso, non accontentandosi solo di essere riconosciuti e convocati (come succede oggi), ma divenendo invece più sfidanti e conflittuali nei confronti dell’opinione pubblica e degli interlocutori della governance territoriale.

    Dall’altro, è importante sviluppare dei percorsi si interroghino su cosa vuol dire essere un’istituzione culturale contemporanea, non rendendo i NCC subalterni rispetto alle istituzioni culturali tradizionali ma, al contrario, rivendicando un’alterità identitaria e progettuale.

    Annalisa Gramigna è una ricercatrice dell’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale (IFEL), la Fondazione dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI). Nel suo intervento, Gramigna si è interrogata sui vincoli organizzativi, strutturali e amministrativi che ostacolano la trasmissione di valore sui territori tra le esperienze sociali e culturali dal basso e le amministrazioni locali.

    Il 70% dei quasi 8000 comuni italiani non supera i 5000 abitanti, mentre il restante 30% si divide tra realtà medie e grandi; si tratta di un quadro estremamente eterogeneo, che però è condizionato trasversalmente da due criticità comuni alla stragrande maggioranza dei contesti: la struttura del personale e la cultura organizzativa. Il comparto degli enti locali, infatti, negli ultimi dieci anni ha perso quasi il 20% del personale che non è stato rimpiazzato. Il personale della Pubblica Amministrazione nel suo complesso ha un’età media di 51 anni; gli under 30 sono solo il 3%, mentre gli over 60 sono sei volte tanto. Allo stesso tempo, logiche e procedure della Pubblica Amministrazione tendono a privilegiare letture organizzative autoreferenziali che si interrogano più su criteri di efficienza che non sulle modalità di trasmissione del valore.

    A fronte di questo quadro, si possono identificare alcuni suggerimenti pratici per tutti coloro che intendono interagire con le amministrazioni del proprio territorio.
    Innanzitutto, è importante capire qual è la cornice di senso all’interno della quale la singola amministrazione programma ed opera: in questo senso possono essere strumenti preziosi gli statuti, le linee di mandato degli amministratori e del sindaco, i regolamenti sulla partecipazione e sul terzo settore, il documento unico di programmazione che declina le linee politiche pregi anni di mandato dell’amministrazione in carica.

    In secondo luogo, è indispensabile imparare a declinare e tradurre le forme di valore che le progettualità sociali e culturali possono avere sui territori. In questo senso, istituzioni intermedie come le fondazioni e le università possono favorire processi di mediazione culturale e legittimare istanze dal basso. Infine, è cruciale per le pubbliche amministrazioni costruire strumenti e organi di integrazione tra uffici e politiche diverse, in grado di rispondere alla complessità delle sfide in campo.

    Elena Ostanel, è un’urbanista che lavora allo IUAV di Venezia, ricercatrice Marie Curie e membro del Master U-Rise. L’intervento di Ostanel ha preso le mosse dalla Risoluzione della Commissione Cultura della Camera dei Deputati del 29 Aprile 2020 – nella quale si sottolineava la natura della cultura come infrastruttura democratica essenziale per la nostra società – ed ha evidenziato come, durante l’emergenza connessa al lockdown, sia emerso chiaramente come i nuovi centri culturali lavorino costantemente sui due livelli: uno spaziale (hardware) e l’altro di servizi sul campo e immateriali (software). Da questa prospettiva è possibile considerare i nuovi centri culturali come vere e proprie infrastrutture sociali e culturali di prossimità, il cui impatto si basa sul trasferimento del valore in modo allargato ai territori in cui operano. Un esempio è il lavoro svolto dall’Ex Asilo Filangeri e da altri spazi “liberati” tramite il lavoro di innovazione amministrativa che ha interessato Napoli in questi anni: la rete napoletana ha, infatti, raccolto durante il lockdown oltre 60.000 euro per le persone in difficoltà, segno di una capacità di organizzazione e intervento sul territorio tutt’altro che banale.

    Nel suo libro Spazi fuori dal comune, del 2017, Ostanel ha guardato ai nuovi centri culturali come spazi di apprendimento tra le istituzioni, il territorio e le persone. Un esempio è quello che è successo nel Laboratorio Spazi della città di Bologna, nel quale la co-progettazione è divenuta uno strumento effettivo per intervenire sul territorio; questa metodologia adesso sta venendo presa in considerazione anche delle amministrazioni di comuni più piccoli. Si tratta quindi un’opportunità di circolazione dei saperi dalle città più avanzate dal punto di vista dell’innovazione amministrativa nel rapporto con i nuovi centri culturali verso quelle che ancora non hanno adottato strategie di questo tipo. Opportunità nelle quali possono giocare un ruolo cruciale le organizzazioni di rete “dal basso” (come i Partner di Rete de laGuida), così come le istituzioni intermedie (come la Fondazione per l’Innovazione Urbana di Bologna).

    Con le conseguenze dell’emergenza Covid, il rischio oggi è che i nuovi centri culturali scompaiano. La priorità quindi è quella di passare (come ha iniziato a fare Compagnia di San Paolo con il bando Rincontriamoci) dalle forme di finanziamento che negli anni passati hanno spinto ad una costante innovazione progettuale a forme di sostegno e ristoro che permettano agli spazi di continuare a vivere.

    Claudio Paolucci è professore associato di Semiotica e Filosofia del linguaggio all’Università di Bologna ed è il coordinatore del dottorato di ricerca in Philosophy, Science, Cognition and Semiotics del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna. Il suo intervento ha investigato 5 sensi diversi della parola “partecipazione”, mettendo in guardia sul rapporto ambiguo che inevitabilmente sussiste tra lo sviluppare percorsi partecipativi per le organizzazioni e il costruire forme di immunizzazione che permettono alle organizzazioni stesse di metabolizzare – senza però esserne trasformate – istanze esterne radicali.

    Per non togliere nulla alla natura anche per formativa dell’intervento di Paolucci, però, vi rimandiamo al video del suo intervento.

    I partner

    Ci sostengono e ci hanno sostenuto per tutta la durata del progetto:

    Partner di Rete: Arci Italia; Ateatro; Fondazione Piemonte dal Vivo; L’Orgia; Labsus; Legambiente; Lo Stato dei Luoghi; NESXT; Fondazione Riusiamo l’Italia; URBACT.

    Partner Culturali: Polo del ‘900 di Torino e La Triennale di Milano

    Partner Scientifici: il Dipartimento di Sociologia e Ricerca dell’Università degli studi di Milano – Bicocca; l’Università IUAV di Venezia e Master U-RISE Rigenerazione Urbana e Innovazione Sociale; il Centro Internazionale di Studi Umanistici “Umberto Eco” – Scuola Superiore di Studi Umanistici (SSSUB) – Università di Bologna.

    Partner Editoriale: Iperborea

    Partner Finanziatori: Fondazione Compagnia di San Paolo e Fondazione Unipolis

    Sono stati con noi:

    Ricetto per l’Arte – Agorà della Val Susa (Cumalè), Lo Spazio di Mezzo (atelier mobile), a.titolo, Arci Piemonte, Arci Canaletto, Associazione Amici di Paganini, Arteco, ArteSera, Babelica, Bocciofila Vanchiglietta, Teatro Cabiria, Cafè Neruda, Cap10100, Casa Gavoglio, CCCTO – Ex Birrificio Metzger, Cascina Govean, Centro di Incontro Mascagni, Centro di Incontri Chiusa di Pesio, Centro Ricreativo Culturale Luceto, Circolo Barabini di Trasta, Cinema Vekkio, Circolo Combattenti e Reduci Montegrappa, Con-diviso, Centro del Protagonismo Giovanile di Torino, Cripta747, ExMattatoio – Cittadella del Volontariato, Ex Ospedale Psichiatrico di Quarto, Iperspazio, L’Arteficio, La Claque – Teatro della Tosse, La Fortezza (E20), La Rocca – Fratellanza Contadini e Operai, Magazzino sul Po, Mastronauto, NESXT, Nòva, Officina residenza teatrale per le nuove generazion, Officine CAOS, Officine Solimano, Palazzo del Tribunale (Baba Jaga), Pandan, Portmanteau, Print Club Torino, Borgata Paraloup, Sintra Onlus, SOMS (Progetto Cantoregi), Spazio Bac, Spazio Ferramenta, Spazio Hydro, Spazio Kor, Tastè Bistrot, Teatro della Juta, Teatro Marchesa (Choròs), Terzo Paradiso (le Radici e le Ali), Teatro Laboratorio Creativo, viadellafucina16 Condominio-Museo, Villa Filanda, ZAC! Zone Attive di Cittadinanza, Zero Gravità (Villa Cernigliaro), Oratorio Finalpia.

    Note