Nube di parole, ridefinire la pratica culturale con la co-scrittura

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    Con il progetto Nube di parole, i termini ‘Open Data’, ‘sostenibilità’, ‘audience engagement’ e ‘community hub’ diventeranno 4 voci d’enciclopedia pensate anche per chi lavorerà nel settore culturale d’ora in poi.
    Claudio Paolucci con questo articolo inaugura la fase di scrittura collettiva, o co-scrittura, a cui prenderà parte lui stesso: proveremo, insieme a chi vorrà partecipare, a dare un senso accessibile a 4 termini ricorrenti nel settore culturale che sono stati scelti da chi ha già partecipato a Nube di parole come termini chiave nelle pratiche culturali contemporanee.
    Per farlo abbiamo preparato una serie di domande a cui ciascuno può rispondere secondo la propria esperienza
    .

    La co-scrittura della prima voce inizia il 9 ottobre e finisce l’8 novembre 2018. Il 13 novembre appuntamento da WeMake per la presentazione del primo lemma.

    Tutti possiamo partecipare alla co-scrittura delle 4 voci, basta cliccare sul pulsante qui sotto.

    Il grande linguista danese Louis Hjemlsev diceva che il compito del linguaggio era quello di proiettare una rete di relazioni e di correlazioni sulla nuvola amorfa del pensiero. Ma che cosa succede quando le parole stesse assomigliano pericolosamente a quella stessa nube senza forma che dovrebbero aiutare a precisare e articolare?

    C’è sempre qualcosa di rischioso nella definizione. E il rischio consiste proprio nel tentativo di cartografia, che della definizione rappresenta l’essenza. De-finire significa innanzitutto tracciare i confini, de-limitare le frontiere che separano e differenziano un termine da altri termini possibili, che potrebbero stare al suo posto o con cui quel termine instaura rapporti di vicinato. Per questo ogni definizione rimanda sempre alla pratica cartografica di tracciatura di un territorio, territorio che è certamente linguistico, ma che è anche – e forse innanzitutto – quello delle pratiche sociali e culturali che pulsano al suo interno. Per altro, la definizione è tanto più rischiosa quando non ha come suo obiettivo principale quello di registrare l’uso dei parlanti o di fare un’etnografia dell’esistente – tenendo memoria delle regolarità e delle forme di vita dietro le parole – bensì ha quello di far emergere alcune trasformazioni in atto attraverso la scelta e la ridefinizione di alcune parole chiave, che sembrano esprimere un cambiamento di cui è urgente prendere coscienza. Non quindi la pratica culturale espressa nelle parole, bensì la pratica culturale così come le parole la possono ridefinire. Questo è il progetto “Nube di parole”.

    Avviato nel mese di Maggio con l’obiettivo di riflettere sul linguaggio e sulle parole come forma di esistenza, chiarimento e diffusione delle nuove pratiche culturali, “Nube di parole” vuole provare a costruire una specie di autocoscienza della pratica culturale contemporanea, legata alla selezione e all’autodefinizione di quattro parole chiave, fatta proprio da chi quelle parole non solo le usa, ma le ritiene utensili indispensabili per il proprio saper fare, nonché chiavi di accesso decisive alle attuali trasformazioni culturali.

    Semplificando, ma non nell’essenziale, ci sono due modi praticati di costruire una voce di dizionario o di enciclopedia. Il primo è quello classico della delega agli esperti: un curatore sceglie persone adatte alla redazione delle singole voci, costruendo una griglia di massima e facendo un lavoro di revisione finale. Il secondo è il modello Wikipedia: redazione delle voci “dal basso”, secondo un agile canovaccio predefinito, e controllo successivo dell’attendibilità dei contenuti. “Nube di parole” tenta una terza via, a suo modo composita, ma comunque non riconducibile a nessuna delle prime due. La redazione delle voci è collettiva, “dal basso”, ma le persone che si occuperanno della redazione sono gli anonimi fruitori delle parole stesse, gli stessi che le hanno selezionate al posto di altre parole ugualmente possibili. Il curatore e la redazione di cheFare più che mettere a punto una griglia hanno posto alcune domande, più che individuare le singole voci, ne hanno proposte di possibili, chiedendo poi alle persone che volevano essere coinvolte di individuare autonomamente quelle che intercettavano meglio i cambiamenti in corso. Il nostro lavoro comincerà poi a cose fatte, coi contenuti “già lì”, e sarà un lavoro che procederà per togliere, per “aggiunta di sottrazioni”.

    Dare ai nomi un senso accessibile, rendere “nuove” alcune pratiche che sono già confusamente parte integrante della vita quotidiana, è pratica sia politica che semiotica, perché riguarda il modo in cui vengono prodotti socialmente i significati. In particolare, partendo dai linguaggi e dalle tecniche sperimentati nelle vecchie e nuove istituzioni culturali – nei makerspace come nei fablab – con “Nube di parole” si cerca una prima tentativa definizione del nuovo lessico e delle nuove forme del lavoro culturale, con i loro prestiti dall’inglese, i neologismi e alcune vecchie parole che sono oggetto di sorprendenti torsioni semantiche. Lo strumento della voce enciclopedica, di agile utilizzo e di apparente facile fruizione, non vuole rappresentare uno strumento “classico” di accesso ai saperi e alla conoscenza, quanto piuttosto una forma di ridefinizione e di costruzione di autoconsapevolezza, che diventa elemento di esistenza di lavori e di concetti spesso nominati, ma che, nell’incertezza della definizione, nascondono spesso significati latenti, parzialità ideologiche e, talvolta, anche autentiche forme di sfruttamento.

    Da qui l’affidarsi a un doppio processo collettivo: da una parte la delega alla comunità dei nuovi lavori culturali, che ha tentato di nominarsi e ha individuato alcune parole necessarie per la propria esistenza; dall’altra i possibili fruitori e le fruitrici, che sono stati chiamati a testare la comprensione e l’interesse delle parole scelte, ma soprattutto a dialogare con i processi culturali in corso.

    Più nel dettaglio, la redazione di cheFare ha inizialmente proposto 40 parole, scelte tra concetti, pratiche, professioni e spazi del lavoro culturale, e ha aperto un sondaggio online al fine di selezionare i primi otto lemmi che, secondo la comunità che ha partecipato all’iniziativa, rappresentavano le voci più interessanti e più degne di una definizione, di una ridefinizione e di un ulteriore approfondimento. La votazione, divisa in quattro fasi, ha visto la partecipazione di oltre cinquecento persone per ognuna delle quattro votazioni. Le otto parole sono state ulteriormente ridotte a quattro durante il camp di “Nube di parole” svoltosi il 12 giugno a Torino, presso il polo del Novecento. Si è trattato di un importante momento di confronto collettivo su lavoro, cultura, innovazione e tecnologia, in cui si sono incontrati sia la comunità dei lavoratori della cultura (in particolare makers e attori connessi agli spazi di produzione culturale), sia una serie di soggetti e lavoratori delle professioni e dei saperi tradizionali, chiamati ad interrogarsi sulla complessità dei linguaggi e su come nominare i nuovi processi in corso. Questo momento pubblico è stato propedeutico all’espressione di preferenze, alla discussione e infine al voto sulle otto parole, che ha permesso di raggiungere una lista di quattro voci enciclopediche che andremo ora a definire: open data, sostenibilità, community hub e audience engagement.

    Non è forse superfluo notare già in questa fase come ben tre di queste parole siano prestiti dall’inglese: fenomeno già di per sé significativo, che mostra la natura “in traduzione” della pratica del lavoro culturale in Italia (1). Oggi inizia una nuova fase di scrittura, in cui si cercherà di dare a questi lemmi profondità di senso e collettività del sentire. Le quattro voci verranno co-scritte per un mese ciascuna e poi presentate in un incontro pubblico successivo nei mesi di novembre, gennaio e febbraio a Milano, Roma, Genova e Torino.

    Si potranno definire il senso dichiarato, quello latente, le contraddizioni, i limiti e i vantaggi che queste quattro parole rappresentano. Si parlerà certamente degli aspetti specifici, ma queste parole saranno, soprattutto, l’occasione per riflettere attraverso la scrittura sul lavoro culturale oggi. Perché la fase di co-scrittura che comincia adesso è anche e innanzitutto il prendere consapevolezza su cosa stiamo realmente facendo quando facciamo cultura oggi in Italia.

    Nube di Parole è un progetto di cheFareWeMakeCentro Studi del Presente e Polo del ‘900 e ha vinto insieme ad altri 14 il Bando Polo del ‘900 di Compagnia di san Paolo.


    (1) Personalmente, ho provato a lavorare su questo tema, a mio parere molto caratterizzante la cultura italiana contemporanea, proprio dalle pagine di cheFare.

    Immagine di copertina: ph. Jelleke Vanooteghem da Unsplash

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