Imparare a coltivare: il progetto degli Orti Generali a Mirafiori

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Mirafiori, quella «periferia di Torino nata intorno allo stabilimento della Fiat, triste e funzionale, coi suoi vialoni infiniti e i tronchi stilizzati degli alberi metropolitani che sembrano schizzi a china», come la descrive Angelo Ferracuti nel suo Andare, Camminare, Lavorare. L’Italia raccontata dai portalettere (Feltrinelli, 2015), è dal 2009 territorio di un progetto di riqualificazione ambientale e sociale che troverà con l’inaugurazione di Orti Generali a marzo 2019 il suo punto d’arrivo finale.

    Un’esperienza che ha vissuto diverse fasi, avviata grazie all’intraprendenza di Stefano Olivari e Matteo Baldo, paesaggista il primo e educatore professionale e dottore magistrale in Sociologia il secondo, «quelle cose che si fanno da giovani, con grande slancio e amore verso quello che si fa» scherza Olivari al telefono.

    Tutto parte da un’idea di Isabella Devecchi, con la quale Olivari inizia a collaborare fresco di laurea all’Ecole du Paysage di Versailles, dove si diploma con una tesi proprio sull’area di Mirafiori Sud lungo il torrente Sangone.

    Da lì nel 2010 parte Miraorti, piano di progettazione partecipata che ha coinvolto scuole, associazioni, ortolani e abitanti di Mirafiori, finalizzata a comprendere come la zona lungo il Sangone si sarebbe trasformata negli anni successivi: si identificavano diversi scenari fra cui quello del Parco Piemonte, una delle poche aree di agricoltura diretta nel territorio torinese che si prestasse a diventare un sito di agricoltura per lo sviluppo della fruizione e del coinvolgimento dei cittadini, e dove si potesse approfittare della vicinanza con la città per cercare di incrementare un’idea di agricoltura in scala ridotta, individuale o familiare; ma anche forme di divulgazione sulla coltivazione che facessero leva su concetti elementari come mangiar bene, tenersi in forma, privilegiare il biologico, realizzando dei corsi che avessero a che fare con queste tematiche.

    «Una ricerca di due/tre anni a cui abbiamo deciso a un certo punto di cambiare cappello e trasformarla da progetto di studio in progetto attuatore di uno degli scenari che avevamo individuato», spiega Olivari, «e così è nato Orti Generali, col pretesto di Smart cities and social innovation, un bando del Miur del 2012 che si è concretizzato solo nel 2016, anno dal quale si è avviata una fase di ricerca supervisionata dall’Università Ca’ Foscari di Venezia. A causa di ritardi burocratici i terreni ci sono stati dati in concessione solo nel giugno 2018».

    Un progetto essenziale ma stratificato: offrire la possibilità di coltivare, in gruppo, in famiglia, come associazione o individualmente; imparare, con corsi di formazione teorica e pratica, attività e laboratori, sui temi legati all’agricoltura biologica, orticoltura e ai lavori rurali.

    A disposizione ci sono 150 orti più un polo didattico dove seguire i corsi: l’idea estetica è quella di importare a Mirafiori i parc potager alla francese, dove gli orti sono inseriti in un sistema di strade, viali, sentieri e delle zone al verde e all’ombra per la fruizione generale.

    A disposizione ci sono 150 orti più un polo didattico dove seguire i corsi: l’idea estetica è quella di importare a Mirafiori i parc potager alla francese

    Un modello che in Italia non è ancora praticato e che qui troverà la sua realizzazione: nel progetto infatti su due ettari di zona d’orto coltivabile ottomila metri quadri sono dedicati allo spazio a parco. Mentre dal punto di vista del funzionamento l’impronta è quella delle urban farm all’inglese: un luogo di aggregazione innovativo, dove poter seguire corsi e laboratori per tutte le età.

    Ma perché proprio Mirafiori? «Il territorio di Mirafiori è caratterizzato da una maggioranza di orti abusivi, e già il progetto Miraorti era nato con l’obiettivo di smantellare mano a mano più di mille orti di questa tipologia, che pur essendo esteticamente interessanti, dal punto di vista ecologico non possono definirsi una buona pratica», ci racconta Olivari.

    «Da questo punto di vista sono infatti una catastrofe, diventano una specie di ricettacolo intermedio fra la casa e la pattumiera, in cui vengono accostati una quantità impensabile di rifiuti: trovandosi sulle sponde del Sangone nei momenti di piena questi materiali entrano nel corso del fiume e vengono riversati ovunque».

    Ma come aveva già spiegato al sito Vicini, in un’intervista di qualche anno fa, «questi orti raccontano la storia recente dell’Italia, le migrazioni, il boom economico e il bisogno per molti operai di trovare un antidoto per sfuggire al binario fabbrica-appartamento»: la necessità primaria diventa quindi quella di reinterpretarli in chiave moderna, per far sì che rappresentino un’opportunità per il quartiere in termini di inclusione sociale, ecologia urbana e produzione agricola di prossimità.

    Il quartiere dunque come base fondamentale per lo sviluppo di questo tipo di esperienza: un rapporto consolidato negli anni tramite Miraorti, partito come un progetto di ricerca di sostegno alla progettazione delle istituzioni, e diventato di fatto un’esperienza di ecologia urbana, animazione territoriale, didattica nelle scuole e riqualificazione di piccole porzioni di quartiere attraverso il coinvolgimento dei cittadini.

    Il risultato di questo lavoro, secondo Olivari, è visibile ora nell’alto numero di adesioni sulla fiducia al progetto: «abbiamo la fortuna poi come associazione di avere gli uffici all’interno della Casa del Parco, che è un luogo di accentramento di diversi soggetti ed è anche la sede della Fondazione Mirafiori, la quale raccoglie tutte le iniziative che hanno a che fare con il sociale di tutto il quartiere: anche quello è, ed è stato, un ottimo appoggio per noi».

    Un’esperienza di ecologia urbana, animazione territoriale, didattica nelle scuole e riqualificazione di piccole porzioni di quartiere attraverso il coinvolgimento dei cittadini

    Da una parte quindi l’inclusione delle persone del quartiere, dall’altra la volontà di accogliere nel progetto anche soggetti svantaggiati, in collaborazione con l’ASL e con associazioni, per realizzare percorsi riabilitativi e di orto-terapia: «Tentiamo e tenteremo di accogliere ogni tipo di proposta, già lo scorso anno insieme al Sert siamo riusciti a organizzare un corso per persone con problematiche legate alle dipendenze, con le quali abbiamo costruito un orto sinergico».

    I piedi piantati saldamente a Mirafiori, ma lo sguardo che va lontano: la vocazione di Orti Generali è internazionale, spiega Olivari, «è un progetto di quartiere che sta in una città che sta in Italia che sta in Europa, e cerca di collegarsi a tutti livelli, locale-nazionale-internazionale. Ricercare una dimensione che possa reggere a tutte le scale è una cosa che ci interessa molto»

    In questa direzione va letta quindi anche la cura nell’immagine e nella comunicazione del progetto, che passano da grafiche molto curate, basate sull’utilizzo di una palette di colori primari, di font limpidi, di immagini mai banali. Per noi era fondamentale avere un occhio di riguardo per l’aspetto visivo di Orti Generali, perché fare le cose belle è un dovere: se uno fa una cosa deve farla al meglio delle sue possibilità perché il bello è un modo di essere generosi, abbiamo cercato di impostare una comunicazione che fosse chiara a tutti i livelli».

    Al timone della progettazione grafica Christel Martinod, che aveva già lavorato all’immagine coordinata di Miraorti e che nelle parole di Olivari «è parte integrante di Orti Generali: quello che abbiamo con lei è un connubio ormai rodato, che funziona attraverso grandi scambi di opinioni, come ad esempio la campagna promozionale del progetto, che cita i lavori di Jacques Simon, un paesaggista francese che amiamo molto, autore di collage divertentissimi e provocatori».

    Dimostrazione pratica di questo legame strettissimo è Il trasloco del giardino. Guida pratico poetica all’invenzione del paesaggio, albo uscito in libreria nel 2018 nella formidabile collana di Topipittori “PiNO” (Piccoli Naturalisti Osservatori, una serie divulgativa dedicata all’osservazione di tutto quello che ci circonda), piccolo prontuario per la creazione e la cura di un giardino, i cui testi sono firmati da Stefano Olivari e Federico Novaro, mentre le illustrazioni sono a cura proprio di Christel Martinod.

    Nonostante il libro e il progetto non siano direttamente correlati, sfogliandone le pagine si ritrovano nelle parole di Olivari e Novaro le basi della filosofia di Orti Generali, e nei collage di Martinod gli stessi motivi e la medesima sensibilità utilizzata anche per la comunicazione del progetto.

    Passaggi come questo: «Bisognava ogni giorno prendersene cura e, così, scoprimmo che era questo il bello: ogni giorno annaffiare un pochino; ogni giorno togliere qualcosa: un secco, un rametto; ogni giorno chiedersi se in quel piccolo spazio rimasto non sarebbe bene aggiungere quella piantina che cresce là nel prato o che abbiamo visto dal fioraio; ogni giorno guardarla, la nostra aiuola, per capirla. L’aiuola viveva, cresceva, e noi con lei.», o questo «Il giardino negli anni, era diventato come un album di figurine: ogni pianta un desiderio che avevamo avuto, una piccola storia di quando l’avevamo scoperta. Ma dov’era il prato che avevamo desiderato? Dove, i grandi alberi sotto i quali stare senza pensare a niente?» sembrano raccontare una storia che è quella (anche) di Orti Generali.

    Tornando a Mirafiori: cosa succede adesso, a pochi mesi dall’inaugurazione del progetto? Continua Olivari: «Ora stiamo sistemando gli orti destinati a chi ha già aderito al progetto: molti ragazzi, tant’è vero che gli spazi a disposizione con la tariffa giovani sono praticamente finiti, un’associazione, singoli o famiglie che partecipano tramite la tariffa solidale, una misura che permette a chi dispone di pochi mezzi economici di fare delle ore di volontariato in cambio di un costo ridotto nell’utilizzo degli orti.

    Piantammo solo, lungo il confine, delle piante da bacche, così che tanti uccelli avessero voglia di venirci a trovare. Senza grandi alberi sopra di noi, il cielo ci sembrava immenso.

    Ad occuparci di Orti Generali per ora siamo io e Matteo Baldo, e tra poco si unirà Davide, un nostro volontario venticinquenne, appassionato di agricoltura urbana; inoltre, conteremo su una favolosa rete di volontari molto nutrita e un agronomo che sarà sempre disponibile via whatsapp e passerà negli orti ogni venerdì pomeriggio per parlare con le persone. 

E poi c’è il nostro sito internet, pensato per essere uno strumento vero e proprio nelle mani di chi partecipa a Orti Generali: lì si trovano il calendario delle colture, le schede delle piante, ed è possibile avviare un alert che avvisa quando è il momento dei trattamenti biologici preventivi. La portata di innovazione del nostro progetto passa anche dalla tecnologia: oltre al sito abbiamo predisposto una centralina rileva meteo, umidità, temperatura locali, e che aziona all’occorrenza un impianto di irrigazione centralizzato per tutti gli orti, per il risparmio della risorsa idrica».

    Viene in mente ancora Il trasloco del giardino: «Tante persone erano venute ad aiutarci: amici, sconosciuti che divennero amici, studenti, giardinieri oppure semplici visitatori [..] In ogni momento dell’anno c’era qualcuno che potava, rastrellava, scava, studiava. […] Dopo tanto lavoro, volevamo riposarci un po’. Piantammo solo, lungo il confine, delle piante da bacche, così che tanti uccelli avessero voglia di venirci a trovare. Senza grandi alberi sopra di noi, il cielo ci sembrava immenso».


    Immagine di copertina: ph. Umberto Costamagna

    Note