PON Metro: politiche d’innovazione e di coesione territoriale

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    Molti di noi ricorderanno quando, a metà degli anni ’90, alcune delle nostre città furono popolate per diverso tempo dal marchio (e dal dibattito su) URBAN, il programma comunitario il cui obiettivo manifesto era la rivitalizzazione economica e sociale di molte aree urbane europee. Sull’efficacia (e sull’efficienza) di URBAN se ne è parlato tanto e potremo ritornarci; la sensazione è che i prossimi sette-otto anni vedranno un nuovo marchio aggirarsi per le città europee, il marchio del PON Metro.

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    La “città metropolitana” (Art. 114 della Costituzione, definizione introdotta con la riforma del 2001) è il nuovo soggetto istituzionale e territoriale che plausibilmente ridisegnerà le nostre vecchie mappe dell’Italia, destinate ad essere archiviate con la loro variopinta suddivisione per province. Con l’abolizione dei sistemi provinciali infatti, verranno istituite nuove aree frutto dell’aggregazione di comuni intorno alla città principale. Ma non varrà più la contiguità, quanto la libera scelta di adesione esercitata dalle comunità, quello che Pietro Barrera definisce un “patto di amicizia” (Webinar IFEL, novembre 2014).

    Le 14 città metropolitane individuate dal Governo nel 2014 sono Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Cagliari, Catania, Messina e Palermo. Anche sulla governance delle città metropolitane sarà il caso di tornarci, perché la gestione dei consigli metropolitani, il ruolo della città-perno, il rapporto tra i comuni (“comunità di comunità”, Barrera 2014), rappresenteranno tutte questioni nuove che dovranno fare i conti con la pesante eredità delle province, dovendo guardare invece a nuovi assetti territoriali.

    Il Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane 2014-2020 (“PON Metro”, appunto) è l’insieme delle iniziative ideate nel contesto dell’Agenda urbana europea per le politiche di coesione, nate con l’obiettivo di rafforzare il ruolo delle grandi città (e dei loro territori). Tali nuovi agglomerati sono uniti dalla condivisione di criticità accomunabili e quindi dalla necessità di produrre impatti simili, da realizzare entro il 2020. Si tratta di una strategia comune concordata con il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (DPS) del Governo Italiano, al fine di rispondere alla “strategia dell’Unione Europea per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e al raggiungimento della coesione economica, sociale e territoriale”, anche in Italia.

    Il documento, scaricabile dal sito del DPS, è un fittissimo testo (181 pagine) che individua criticità, priorità e strategie delle aree metropolitane italiane. Vengono messi a disposizione 588.075.000,00 euro (445.698.942,00 euro di contributo Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e 142.376.058,00 euro di Fondo Sociale Europeo) per affrontare i problemi individuati e ridimensionarli, innescando (auspicabilmente) nuovi percorsi virtuosi che permettano la progressiva scomparsa delle criticità e la sostituzione con scenari di segno positivo.

    Con PON Metro l’Unione Europea e il Governo Italiano dichiarano di assumere alcune nuove ambiziose sfide: aggredire la crisi e le sue ricadute sociali, contrastare il cambiamento climatico, contribuire a realizzare la riforma e la riorganizzazione istituzionale. L’approccio scelto è marcatamente place-based, ed è l’esito di un processo di elaborazione comunitaria che è giunto ad individuare le aree metropolitane come “scale di intervento cruciali per lo sviluppo regionale”. Tale approccio non può prescindere da un metodo integrato di settori di intervento trasversali quali il capitale umano, l’innovazione sociale, l’innovazione tecnologica, le politiche energetiche.

    Fin qui, le premesse e le sfide generali. Ma vediamo come sarà strutturato il PON.
    Leggendo il documento e le sue dichiarazioni di intenti, si noterà immediatamente che il Programma si articola su due cosiddetti driver principali: il primo, in parziale continuità con il paradigma “smart city”, si propone di affrontare i temi dell’Agenda Digitale e della Sostenibilità dei servizi e della mobilità urbana; il secondo invece elegge i Servizi e le Infrastrutture per l’inclusione sociale quali obiettivi strategici.

    Sul tema Agenda Digitale (Adozione di tecnologie per migliorare i servizi urbani della smart city – obiettivo specifico 1.1.1) PON Metro non ne fa più solo una questione di infrastrutture quanto piuttosto un problema di servizi capaci di rendere più efficiente il rapporto tra cittadini e welfare (ad esempio nella sanità) e sviluppare capacità di accesso alle tecnologie da parte di larga parte della popolazione, inducendo comportamenti più consapevoli degli strumenti disponibili di “democrazia digitale”. Non si tratta più, insomma, di sapere quanta Italia è raggiunta dalla banda larga, ma invece quanti cittadini sapranno richiedere un certificato attraverso un sito pubblico dedicato (se c’è) e sapranno usare un software per l’accesso ai dati, magari open. Su questo si avverte una certa distanza dal paradigma smart city, che nell’accezione smart ha forse perso l’occasione di creare massivamente applicazioni e basi di dati aperti, democratici e usabili liberamente.

     

    La caratteristica profondamente energivora delle città è l’altro problema su cui si concentra il programma (Risparmio energetico negli edifici pubblici; Illuminazione pubblica sostenibile; Nodi di interscambio modale; Servizi di mobilità condivisa e flotte eco-compatibili; Infomobilità e sistemi di trasporto intelligenti; Mobilità lenta).

    Come ridurre l’impiego di energie non rinnovabili (obiettivo specifico 2.1.1) e di mezzi di trasporto privati (obiettivo specifico 2.2.1)? Anche qui si mira a modificare l’atteggiamento: non si tratta solo di rimodernare le flotte di mezzi pubblici con veicoli a basso impatto ambientale ma di stimolare la nascita di mobilità sostenibili integrate, che contemplino anche il ricorso massivo a mobilità lente ed ecocompatibili: ecco tornare lo stimolo a nuovi comportamenti, immaginando città metropolitane con consumi energetici ridotti (pali della luce intelligenti, lampade a led) e legate ad energie rinnovabili.

    Infine, ma non meno importante, emerge il tema della inclusione sociale, tra innovazione di processi e infrastrutture. Accesso limitato o nullo a (pochi) alloggi pubblici, incapacità di affrontare economicamente i canoni (morosità incolpevole) o i consumi energetici (fuel poverty), sacche di povertà e disagio estremo (comunità Sinti, Rom, Caminanti), nuovi soggetti a rischio di emarginazione (famiglie e individui a rischio insolvenza, studenti e giovani precari, anziani soli, famiglie monoparentali, donne vittime di violenza) sono alcuni degli aspetti più rilevanti su cui il Programma dichiara di volere intervenire in chiave di contrasto, riduzione e “riattivazione economica e sociale” (Servizi per l’inclusione sociale, obiettivi specifici 3.1.1 e 3.2.1).

    E il PON Metro non dimentica di individuare sia attori che processi. Se a monte esso assume come obiettivo imprescindibile la riduzione della distanza tra cittadini (e city users) e servizi di welfare, dall’altro individua nelle organizzazioni no profit gli attuatori credibili di nuovi processi di facilitazione, mediazione e animazione socio-economica. Detto così, sembra un po’ vago, ma leggendo il documento si comprende che gli estensori, consci ad esempio che il problema della casa non si risolve più solo con l’industria del mattone, mettono in campo alcune visioni evidentemente stimolate dal dibattito sull’innovazione sociale europea.

    Gli strumenti previsti sono tanti (sportelli d’ascolto, banca del tempo, orientamento al lavoro e alla formazione, assistenza alla persona, attività di animazione culturale e tecnologica con finalità pedagogico-educative o sociali, riqualificazione e gestione dello spazio e dei beni pubblici presenti nel quartiere, supporto ad avvio di attività imprenditoriali, alla realizzazione di iniziative di promozione e di marketing, valorizzazione delle risorse ambientali, culturali ed architettoniche del quartiere – obiettivo specifico 3.3.1) ma lo spirito sembra uno solo: contrastare l’emarginazione sociale attraverso lo stimolo di nuove relazioni, in aree urbane finora ritenute marginali rispetto ai centri strategici della città. E questo non può prescindere da una nuova e diffusa capacità di accedere agli strumenti digitali in forma sempre più consapevole (Alfabetizzazione e servizi per l’inclusione digitale – obiettivo specifico 3.4.1).

    Ai servizi per l’inclusione il Programma affianca gli interventi sulle infrastrutture (obiettivi specifici 4.1.1/2/3): rigenerazione di edifici già esistenti (compresi i beni confiscati alle mafie), ristrutturazione delle agenzie di gestione degli alloggi, sperimentazione di modelli innovativi sociali e abitativi (quali, a titolo esemplificativo, cohousing, borgo assistito, altre tipologie di abitare assistito), collaborazione attiva dei residenti che mettano in campo competenze e saperi per risolvere manutenzioni ordinarie e forme di solidarietà comunitaria; creazione di spazi pubblici rigenerati di co-working e sportello d’ascolto per l’avvio di imprese sociali e culturali; forme facilitate di cittadinanza attiva in quei quartieri, periferici secondo la visione città-centrica, che diventino snodi tra la città principale dell’area metropolitana e il nuovo territorio di riferimento.

    Molta la carne al fuoco del PON Metro, con un amalgama che sembra però fare suonare le corde giuste. Risulta chiaro che sarà macroscopico il compito dei comuni principali delle aree metropolitane, futuri responsabili dei bandi, degli orientamenti e delle verifiche di processo e di risultato: saranno capaci i nuovi organismi di assolvere un ruolo che li colloca nella sfera della visione e dell’innovazione?

    Anche le imprese e le organizzazioni no profit giocheranno una funzione strategica. Per le prime è auspicabile che possano superare il ruolo di meri aggiudicatari di appalti pubblici: in una visione da “imprese coesive” (Fondazione Symbola, 2014) saranno consapevoli che esiti sociali complessivamente migliori potranno produrre effetti benefici anche sugli equilibri economici che ne permettono la tenuta e l’eventuale crescita?

    Le seconde, individuate dal Programma come attori della riattivazione sociale, dovranno portare il proprio bagaglio di esperienze maturato in tanti anni di para-welfare (con tutte le dovute cautele del caso) dentro un diverso assetto di collaborazione pubblico-privati, questa volta non incentrato solo sull’erogazione ciclica di servizi al cittadino per conto della PA, quanto sull’attivazione di processi che, una volta consolidati, dovrebbero inoculare nuove pratiche nei comportamenti delle comunità.

    Anche le organizzazioni culturali potranno contribuire in questo senso, dimostrando finalmente che il comparto cultura può uscire dalla dimensione di scrigno segreto per pochi esperti, scendendo definitivamente nel campo delle funzioni educative ad impatto sociale: dove la memoria, il patrimonio culturale (anche immateriale), le arti visive e performative, diventino specchio, collante, stimolo e provocazione per le comunità di riferimento.

    Molto ancora c’è da fare sotto il sole del PON Metro, che ad oggi è ancora nelle fasi finali di definizione. Sembra però, leggendo il documento, che la consapevolezza delle criticità sociali e ambientali sia più concreta di alcuni anni fa, forse complice l’inasprimento delle condizioni generali di larga parte della cittadinanza, almeno a giudicare dalle formule di intervento proposte.

    Che la coesione, la produzione di impatti di comunità, la riduzione di impatti ambientali, non sia più un manifesto di desiderata ma l’esito probabile di processi inclusivi ed educativi, spinge un po’ alla simpatia per questo Programma, e alla estrema curiosità e attenzione verso i suoi sviluppi imminenti.
    PON Metro sott’occhio dunque, e ci vediamo dall’altra parte, nel 2023.

     

    Foto di Jezael Melgoza su Unsplash

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