Perché il mese gratis di PornHub è un esempio di social washing, e perché dovrebbe importarci

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    L’OMS caratterizza ufficialmente il coronavirus come una pandemia, l’Italia ne affronta le pesantissime conseguenze sanitarie, economiche e sociali. E PornHub, la più popolare piattaforma pornografica del pianeta, promette accesso gratuito alla versione premium a tutti gli utenti italiani, “per sostenerli durante l’emergenza”.

    A chi, come me, si occupa di violenza di genere digitale e di gender e social washing (ovvero dei tentativi di assorbire e manipolare per scopi commerciali messaggi femministi o sociali), l’annuncio del gigante del porno internazionale non strappa alcun sorriso sornione – semmai suscita indignazione, e tanta voglia di demistificare questa operazione di marketing irresponsabile.

    Nel 2019, PornHub ha registrato in media 115 milioni di visite giornaliere, per un totale di 42 miliardi l’anno, e un giro d’affari milionario pompato da abbonamenti e pubblicità. Peccato sia proprio nei meandri degli innumerevoli canali e partner supportati da PornHub che si diffondono, fino a diventare virali e pressoché inamovibili, materiali espliciti ottenuti senza il consenso delle persone che vi compaiono.

    Il termine revenge porn è, in questo caso, fuorviante – i video intimi pubblicati da ex-partner delle vittime per motivi di vendetta personale non sono che la punta dell’iceberg. Il web pullula di scatti e riprese estorti con la manipolazione e il ricatto, hackerati da account personali, realizzati nel corso di stupri e violenze di gruppo, o sfruttando vittime di tratta, donne e minori in particolare.

    E nonostante PornHub abbia predisposto meccanismi di segnalazione per la rimozione di contenuti pedopornografici e non-consensuali, non si può certo dire che le sue strategie di monitoraggio siano efficaci, o i suoi interventi tempestivi.

    In gennaio, un tribunale californiano ha condannato GirlsDoPorn (compagnia che si serviva della piattaforma di videosharing di PornHub, cui assicurava milioni di visite) a risarcire 22 giovani donne, convinte con intimidazioni e inganni a lasciarsi riprendere in filmati pornografici. Il proprietario, Michael Pratt, è al momento ricercato dall’FBI per accuse inerenti a traffico di esseri umani e sfruttamento sessuale.

    I video, però, non sono stati rimossi da PornHub che diversi giorni dopo la pronuncia del giudice, mentre – secondo organizzazioni femministe anti-tratta – alcuni materiali targati GirlsDoPorn restano tutt’ora scaricabili. Eppure non sono mancate, nel corso del processo, testimonianze rivelatrici degli effetti devastanti dell’abuso sulle vite delle denuncianti – immediatamente identificate, bersagliate di insulti misogini sui social media e per strada, licenziate, cacciate da dormitori universitari e squadre sportive, ostracizzate da colleghi e familiari, con la salute mentale e le finanze a pezzi. Una dinamica tragicamente comune nei casi di violenza digitale, che in Italia ha, per esempio, portato al suicidio la trentunenne Tiziana Cantone.

    Sulla scia dello sdegno generato da questi ultimi casi di cronaca, una serie di gruppi femministi americani ha lanciato una petizione che espone le pratiche più controverse di PornHub, ed ha, in pochi giorni, raccolto quasi 500,000 firme. Un risultato significativo, che ha attratto l’attenzione dei media internazionali e spinto PornHub decisamente sulla difensiva. Ed ecco che alla luce di questi sviluppi, perlopiù passati sotto silenzio sulla stampa nostrana in questi giorni concitati, l’annuncio di “porno gratis per il popolo italiano in quarantena” inizia a provocarci un senso di disagio.

    Parliamoci chiaro. Non si tratta, qui, di giudicare comportamenti individuali, comunque da analizzarsi in un’ottica sistemica, né tantomeno di mettere in discussione le nostre sacrosante libertà sessuali. Si tratta, invece, di smascherare l’operazione di ‘social washing’ di PornHub, certamente non casuale nelle tempistiche: con l’immagine fortemente danneggiata dalla petizione, il brand ha una disperata necessità di pubblicità positiva.

    Viviamo in una società dove la sessualità delle persone reali (e soprattutto delle donne e delle comunità LGBTQ+) spaventa e crea imbarazzi, e ha poco ha che fare con quella patinata e filtrata attraverso uno stereotipato sguardo maschile (bianco, eterosessuale), spiattellata ovunque per vendere una vasta gamma di prodotti. Abbiamo tanto bisogno di riappropriarci di questa sfera esistenziale, con il nostro linguaggio e alle nostre condizioni. Di sdoganare tabù, e -mai più di oggi- di rimettere al centro i corpi, non solo come veicolo di dolore e malattia, ma di liberatorio piacere, di cura di sé e degli altri. Non abbiamo, invece, bisogno di chi spudoratamente cerca di distogliere l’attenzione dalla propria crisi di immagine, capitalizzando sull’attuale emergenza sanitaria.

    Farei, inoltre, ancora un passo in più. Mentre, in queste giornate concitate, osserviamo acuirsi vulnerabilità e tensioni sociali, dobbiamo avere il coraggio di contestualizzare le nostre discussioni su temi spinosi quali pornografia e industria del sesso all’interno di lotte comuni per i diritti sociali di tutte e di tutti. In un universo digitale dominato da grandi attori dotati di scarsa responsabilità sociale, un’altra battaglia, quella per un universo digitale democratico, sicuro, fondato sui bisogni delle persone e delle comunità piuttosto che sul profitto senza regole, è altrettanto importante.

    Vogliamo, infine, spinti dall’iniziativa di PornHub, interrogarci su cosa possa costituire un comportamento solidale da parte di grandi aziende private in questo momento di difficoltà comune? Coadiuvate dalle istituzioni che regolano la loro attività e gli interventi di welfare, comincino dal proteggere la salute di chi lavora e dal garantire loro un reddito sufficiente ad una vita dignitosa.

    Le donne, come chi versa in condizioni di precarietà lavorativa, ha problemi di salute, obblighi di cura, o un vissuto di violenza e trauma, sono particolarmente esposte. E lo sono quanti, in Italia e fuori, lavorano nel business miliardario del sesso (un mondo complesso e variegato che include persone ridotte in condizioni di autentica schiavitù, così come lavoratrici e lavoratori in settori regolamentati, anche se spesso teatro di abusi e violazioni), e subiscono oggi intensamente l’impatto del COVID-19 e delle misure di pubblica sicurezza. Occorrono misure redistributive, e collaborazioni cross-settoriali per tutelare le persone e le categorie più vulnerabili, ed occorrono adesso. Tutto il resto è chiacchiere e marketing.

    Oh, e chi ha qualche soldo da spendere, una casa che garantistica privacy sufficiente, spazio fisico e mentale (tutti privilegi non scontati) e cerchi durante la quarantena alternative intriganti a PornHub, sappia che la scelta di libri, film, fumetti, sex toy feminist e queer friendly, è decisamente aumentata negli ultimi anni. Tutti prodotti nel rispetto dei diritti umani, di lavoratrici e lavoratori, e con l’aspirazione di creare spazi per una sessualità più libera e autentica – perché, magari, non iniziare da lì?

    Note