Dal canone al crowfunding

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    Si tratta di una ipotetica riforma del canone (non solo quello Rai, ma quello di qualsiasi servizio radio-tv pubblico europeo) in cui i cittadini non devono più pagare passivamente ma possono decidere, attivamente, a quale tipo di programmi destinare il 20% della quota di canone che devono pagare. Per testare la nostra ipotesi abbiamo bisogno di voi, di 10 minuti (massimo) del vostro tempo per compilare questo questionario, per capire come reagireste di fronte alla possibilità di scegliere dove investire il 20% del canone, se ve ne fosse data la possibilità.

    L’idea alla base del modello è che i cittadini, tramite piattaforme tecnologiche e dinamiche di funzionamento simili al crowdfunding, possano partecipare attivamente non solo alla produzione di contenuti ma soprattutto alla presa di decisioni editoriali, trasformando il servizio pubblico non più in servizio di distribuzione di contenuti ma in servizio di produzione (in parte) partecipata dal basso, di contenuti. il nostro modello prevederebbe una quota decisionale, una sorta di bilancio partecipativo, sul 20% del canone. E’ un modello che riteniamo applicabile ad altri paesi europei, e non solo al canone ma a qualsiasi tassa.

    Per la maggior parte del ventesimo secolo, i media di servizio pubblico (da ora in avanti, PSM) sono state istituzioni date per scontate; i loro servizi erano considerati come componenti essenziali delle società europee.
    Ma dalla fine del novecento in avanti, i PSM sono stati rimessi in discussione sia dalle liberalizzazioni dei mercati delle telecomunicazioni (Lowe & Berg 2013) che dall’emergere di Internet e della cultura digitale (Bardoel and Lowe 2007; Enli 2008).
    Alla liberalizzazione dei mercati e alla diffusione di Internet si sono aggiunti negli ultimi anni la crisi dei tradizionali modelli di finanziamento (pubblicità e fondi pubblici): la crisi economica iniziata nel 2008 ha ridimensionato i mercati pubblicitari degli old media e ha messo in difficoltà le finanze degli stati, molti dei quali in Europa hanno iniziato a tagliare i budget dei PSM. I servizi pubblici europei devono confrontarsi oggi con i tagli dei budget, la dipendenza dalla politica che ne condiziona l’indipendenza editoriale, le sfide tecnologiche, la frammentazione dell’audience e la messa in discussione dei valori tradizionali associati ad esso.

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    La commistione tra politica e servizio pubblico si ripercuote sulla percezione della qualità dell’informazione fornita dai PSM da parte dei cittadini. Un’inchiesta della BBC dimostra come nei paesi dove è in vigore il modello “pluralista polarizzato” descritto dai professori Daniel Hallin e Paolo Mancini, la reputazione del servizio pubblico sia molto bassa. In Francia, Portogallo, Spagna e Italia meno del 10% dei cittadini è disposto ad affermare che l’informazione televisiva servita dai PSM nazionali sia “molto buona”. In ogni caso, in tutti i paesi coinvolti nell’indagine, i canali di servizio pubblico sono stati valutati più di qualità rispetto a quelli commerciali.

    Secondo dati EBU (l’associazione che riunisce tutti i servizi pubblici europei) il totale degli investimenti nei servizi pubblici europei è stato di 33,8 miliardi nel 2012. Questa cifra rappresenta un aumento dell’1,3% rispetto ai cinque anni precedenti, ma se consideriamo gli effetti dell’inflazione, sostiene la EBU, in realtà le entrate sarebbero diminuite del 9,8%. (EBU 2014a). Le cifre fornite dalla EBU dimostrano che il trend degli ultimi anni va in un’unica direzione, quella dei tagli di budget e della diminuzione delle entrate, seppure in proporzioni variabili da paese a paese. Non succede solo in Italia, dove il governo Renzi ha annunciato un taglio di 150 milioni alla Rai nel corso del 2014. In Olanda ad esempio, il governo ha annunciato per il 2015 tagli al budget del servizio pubblico per 127 milioni di euro. Il governo portoghese vorrebbe dimezzare addirittura i costi del suo servizio pubblico. Quello ungherese invece ha riportato tagli del 37% nel 2010. La stessa BBC ha riportato tagli del 16% al suo budget nel 2010 e ci si aspetta che vengano tagliati 600 posti di lavoro nelle redazioni radio entro il 2017. In Spagna, dove non esiste canone né pubblicità, ma solo finanziamenti pubblici, questi ultimi sono stati ridotti nel 2012, con la scusa della crisi economica.

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    Image: ABC

    Eppure i governi dovrebbero sapere che il budget speso per il servizio pubblico ha ricadute positive su tutta l’economia del paese. Un recente report della BBC (2013a) dimostra come i soldi spesi per la BBC si traducano in un beneficio per il territorio e per l’economia delle industrie creative inglesi. A fronte di una spesa di 5,2 miliardi di euro, la BBC genera un indotto di circa 10 miliardi di euro. La BBC genera quasi il doppio di benefici economici rispetto alle entrate ricevute tramite la tassa pagata dai cittadini inglesi. Se la BBC ha soldi per produrre contenuti, ne beneficia tutta l’industria privata dei media. Oltre ai tagli provenienti dalla politica, c’è il declino delle entrate pubblicitarie. L’EBU dimostra come fino al 2007 le entrate pubblicitarie rappresentassero per i PSM il 16,6% delle loro entrate totali. Nel 2012, cinque anni dopo, questa cifra era scesa al 10,5%. La Rai, sempre secondo dati EBU, ha riportato una diminuzione delle entrate pubblicitarie pari al 18% tra il 2005 e il 2010.

    Verso la “svolta partecipativa” dei media pubblici: generare capitale sociale

    Costretti a confrontarsi col mercato e a non deludere i governi sempre più avari di fondi, i PSM hanno trascurato i loro doveri di servizio nei confronti del pubblico. La rincorsa al mercato e la dipendenza dai governi non hanno portato comunque benefici, perché la crisi economica iniziata nel 2008 ha contribuito alla diminuzione della pubblicità e dei finanziamenti pubblici. Le attenzioni per il mercato e per i governi hanno messo in crisi i tradizionali valori del servizio pubblico e allo stesso tempo indebolito il rapporto di fiducia con i propri principali azionisti, il pubblico che paga il canone. Molti studiosi dei media si sono quindi azzardati a decretare la prossima fine del servizio pubblico. Lo studioso della radio britannico David Hendy però non è d’accordo nel considerare i PSM delle “walking dead institutions” (istituzioni moribonde). Hendy, nel suo libro sul servizio pubblico del 2013, sostiene che la loro scomparsa rappresenterebbe una perdita gravissima per le democrazie liberali. Hendy enfatizza gli aspetti positivi dei PSM: l’indipendenza dai mercati e il pluralismo dell’informazione ma aggiunge anche un’aspetto nuovo, la capacità dei PSM di generare, più che benefici economici, dei benefici sociali. Quesa enfasi sui benefici sociali dei PSM è condivisa anche da altri studiosi dei servizi pubblici, come Bardoel e D’Hanens, che sottolineano l’importanza dei PSM nel favorire l’integrazione e la coesione sociale, generare legami affettivi e culturali, favorire la produzione culturale. Un altro studioso dei PSM, Josef Trappel, crede che l’attuale processo di cambiamento del servizio pubblico debba riconsiderare il processo di creazione del valore: “più i PSM si concentrano sulla creazione di valore e benefici sociali, accanto a quelli economici e maggiore sarà la probabilità di sopravvivere e rimanere rilevanti nell’epoca delle comunicazioni di massa personalizzate”. Tutti gli studiosi pongono inoltre l’accento su una quarta dimensione del servizio pubblico, oltre a quelle tradizionali di informazione, educazione, intrattenimento, la dimensione della “partecipazione”. La studiosa dei media norvegese, Gunn Enli, già nel 2008 scriveva che la partecipazione era il nuovo valore del servizio pubblico.

    Eppure i PSM storicamente hanno sempre concesso a fatica al proprio pubblico spazi di vera partecipazione del pubblico, ma le cose sono cambiate molto negli ultimi anni. Gli utenti dei media stanno diventando sempre più attivi e la partecipazione sta venendo considerata dai media una proprietà sempre più importante. Sono sempre di più i programmi radiofonici e televisivi che prevedono una maggiore partecipazione del pubblico, dal pioneristico Video Nation (1992) della BBC, al più recente programma radiofonico The Listening Project (2012), sempre della BBC, che mette a disposizione degli ascoltatori strumenti per la registrazione e produzione sonora e chiede al pubblico di “condividere con la BBC un momento intimo di una conversazione privata con un parente o un amico, per aiutare la BBC a costruire un’immagine, una mappa delle nostre vite quotidiane”. Per la BBC questo progetto di contenuti generati dagli utenti ha l’obiettivo di porsi come occasione per gli utenti di creare o rafforzare legami sociali. Lo studioso dei media americano Henry Jenkins (prima professore al MIT, ora in California) da anni lavora sulle culture e le pratiche partecipative del pubblico dei media e finalmente, quella che lui ha chiamato la “svolta partecipativa” sembra diventare sempre più reale. Jonathon Hutchinson, un altro studioso di media pubblici, sostiene che per i PSM non è più abbastanza limitarsi ad informare, educare e intrattenere. I PSM devono generare capitale sociale, darsi come obiettivo quello di migliorare sia la qualità della vita dei singoli che quella della collettività.

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    Questa breve rassegna dimostra che gli studiosi di PSM sembrano ormai essersi convinti della necessità del cambiamento dei valori dei PSM in funzione di una maggiore partecipazione da parte dei cittadini, che si dovrebbe tradurre in capitale sociale per i cittadini stessi. Alla classica triade reithiana sembrano essere tutti d’accordo ad aggiungere la dimensione della partecipazione. Ma di che tipo di partecipazione si parla? Finora la partecipazione concessa dai PSM ai cittadini ha riguardato, nel migliore dei casi, la produzione di contenuti. E anche quando i PSM hanno accettato di lavorare con i contenuti degli utenti, il potere decisionale di questi ultimi è sempre stato molto basso. Partecipare, secondo il teorico dei media belga Nico Carpentier significa sia prendere parte alla produzione dei contenuti mediali sia prendere parte alle decisioni editoriali dei media. Secondo Carpentier, possiamo davvero chiamarla partecipazione solo se ai cittadini/ascoltatori/spettatori viene riconosciuta una certa quota di potere nelle decisioni produttive ed editoriali.

    La nostra proposta: riformare il canone attraverso il crowdfunding

    Se ultimamente c’è stata un’apertura maggiore dei PSM alla partecipazione del pubblico alla produzione dei contenuti, non c’è ancora traccia di un’apertura alla partecipazione del pubblico alla gestione economica e alle decisioni editoriali dei PSM. Nei consigli di amministrazione delle aziende PSM il pubblico, nonostante sia l’azionista principale di queste aziende, non ha ancora alcuna poltrona. Per realizzare una piena partecipazione della cittadinanza attiva alle decisioni delle aziende pubbliche dei media non basta concedere alcuni spazi editoriali e rielaborare i contenuti generati dagli utenti. Una piena partecipazione dei cittadini ai media pubblici passa anche da quella che Carpentier chiama “partecipazione strutturale”, una forma di partecipazione che prevede che i cittadini abbiano voce in capitolo nelle scelte editoriali dell’azienda.

    Per questo motivo, insieme a Ivana Pais, una sociologa dell’economia e del lavoro dell’Università Cattolica di Milano, stiamo facendo ricerca indipendente su possibili modelli alternativi di finanziamento del servizio pubblico e abbiamo preso in considerazione l’ipotesi di integrare nella tradizionale forma di finanziamento tramite canone, alcune dinamiche tipiche del crowdfunding. La nostra idea è di permettere ai cittadini, al momento del pagamento del canone, di controllare circa il 20% dell’attuale canone (20 euro su 113,5) e decidere dove investire questo portafoglio, su quali generi, su quali programmi già esistenti o su quali programmi pilota.

    Aprire tramite il crowdfunding ai cittadini la possibilità di decidere come allocare una parte delle risorse raccolte attraverso il canone significa riconoscere loro maggiore potere decisionale, responsabilizzandone le scelte. Permettere ai cittadini che sono obbligati a pagare il canone di decidere tramite i meccanismi del crowdfunding in quali forme e a quali generi editoriali accordare maggiori finanziamenti significherebbe dare loro potere di scelta su una parte dei soldi che sono obbligati a pagare; significherebbe, da parte dei PSM, dire al proprio pubblico: “Quello che vedrai e ascolterai non è soltanto il frutto di ciò che io ho selezionato, comprato e prodotto per te, ma è anche il frutto di ciò che tu credi sia più giusto selezionare, comprare, produrre”.

    Per testare questo modello ed esplorarne le potenzialità e i difetti abbiamo messo a punto un questionario che necessita di 6-8 minuti per essere compilato. Il questionario è una simulazione di cosa accadrebbe se i cittadini potessero investire una parte del canone secondo le proprie inclinazioni, su una selezione limitata di programmi. Se volete partecipare e aiutare questa ricerca, questo è il link.

    Grazie

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