Se gli hacker riformano lo Stato

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    Il Commons Transition Plan, un eBook di poco più di duecento pagine che, senza mezzi termini, propone le linee guida per una strategia di transizione verso un’economia nazionale interamente basata sull’accesso libero e gratuito alla conoscenza, concepita come un bene comune.

    Le fotocopiatrici della Editorial Lord Cochrane di Santiago del Chile lavoravano a pieno ritmo, l’11 settembre 1973, mentre l’esercito golpista bombardava il Palacio de la Moneda. Duplicavano in fretta e furia le 189 pagine del documento di pianificazione appena ultimato dai Chicago Boys, che avrebbe fornito le linee guida alla politica economica di Augusto Pinochet. L’indomani, già prima di mezzogiorno, una copia del ladrillo (il “mattone”), si trovava su tutte le scrivanie ministeriali. Quel programma, poi sviluppato e arricchito per mano dello stesso Milton Friedman, non avrebbe più smesso di ispirare precarizzazione, privatizzazioni, deregulation e austerity ovunque nel mondo, fino a oggi.

    A quella vicenda e a quel modello dobbiamo contrapporre, per misurarne appieno la portata rivoluzionaria, il Commons Transition Plan. Policy proposals and ideas to implement a Social Knowledge Economy. Un eBook di poco più di duecento pagine che, senza mezzi termini, propone le linee guida per una strategia di transizione verso un’economia nazionale interamente basata sull’accesso libero e gratuito alla conoscenza, concepita come un bene comune.

    Inizialmente sviluppato da un pool di ricerca internazionale per conto del Governo dell’Ecuador di Rafael Correa, e ora riproposto in una forma più generale perché possa diventare una risorsa transnazionale, il progetto è stato animato da Michel Bauwens, Daniel Araya, Paul Bouchard, Jenny Torres, John Restakis, George Dafermos e Janice Figueiredo coinvolgendo un’ampia rete di studiosi, social hackers e organizzazioni come P2P Foundation, Shareable, Commons Strategies Group, ShareLex e Free Knowledge Institute.

    Il progetto ecuadoriano ha concluso la fase inaugurale nel 2014 con la discussione di un piano generale, diciotto disegni di legge e una dozzina di progetti pilota che applicano principi di libero accesso, condivisione e partecipazione ad ambiti come politiche partecipative, formazione e ricerca, infrastrutture tecniche, innovazione sociale e istituzionale, energia, manifattura, agricoltura e alimentazione, moneta, politiche urbane ecc. Altrettante declinazioni del principio costituzionale del buen vivir.

    Qui conviene soffermarci su alcuni punti teorici. Innanzi tutto l’idea che si sia ormai passati dal capitalismo cognitivo di rendita, basato su dinamiche estrattive della conoscenza comune, a un capitalismo “netarchico”, che attraverso la creazione di piattaforme proprietarie favorisce la cooperazione per sfruttare la produzione di valore condiviso, mai retribuito. In un contesto di post-scarsità come quello di un’economia che ha spostato sulla produzione immmateriale di beni non rivali o anti-rivali le sue dinamiche fondamentali, le legislazioni sulla proprietà intellettuale diventano uno strumento prioritario di sfruttamento, attraverso un’imposizione artificiale di scarsità. Incoraggiati da un lato, la libera cooperazione e lo scambio tra pari sono, dall’altro lato, inibiti e perfino criminalizzati. Di qui la portata strutturale della crisi.

    Quali gli antidoti proposti? Innanzi tutto l’adozione di licenze libere basate su un principio di reciprocità come la Peer Production License. Licenze come la General Public License incorrono nel paradosso di consentire gratuitamente anche alle grandi multinazionali lo sfruttamento commerciale delle produzioni libere. Le licenze Creative Commons sono concepite come contromisura a questo inconveniente, ma limitano la sfera della condivisione e del libero accesso alla dimensione non commerciale. La Peer Production License, invece, coniuga la massima apertura con l’imposizione di una tariffa d’uso commerciale ai grandi soggetti che operano a scopo di lucro. Oltre all’effetto concreto della generazione di reddito, l’introduzione di questo sistema avrebbe la conseguenza di porre la produzione orientata al comune come la dimensione economica prioritaria, non più subordinata al modo capitalista.

    Altro elemento di grande interesse è il ruolo destinato alla sfera istituzionale, concepita nella forma di uno Stato-partner. Non più al servizio del libero gioco degli interessi privati sul  mercato come lo Stato neoliberista, né pronto a imporre dall’alto pianificazione e controllo come il Welfare state, lo Stato-partner diventa facilitatore delle dinamiche di partecipazione e condivisione paritaria; fa in modo che dalle produzioni condivise si generi un’equa retribuzione del valore generato, combinando la sorveglianza sul rispetto delle licenze di produzione paritaria e l’erogazione del reddito di cittadinanza; e garantisce l’interesse pubblico generale rispetto al rischio, tipico della sfera dei Commons, della frammentazione in piccole comunità basate sulla condivisione di valori e obiettivi parziali.

    Se il Commons Transition Plan potrà segnare l’inizio di una storia di segno radicalmente opposto alla devastazione neoliberista cui diedero l’abbrivio i Chicago Boys, dipende dall’uso che faremo di questo strumento nelle nostre pratiche, e dal contributo di discussione che possiamo dare già ora.

    Immagine di copertina: ph. imgix di da Unsplash

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