Dentro Lo Stato dei Luoghi, un’idea ben precisa di rigenerazione urbana e territoriale

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    Rigenerazione, riqualificazione, valorizzazione: parole sempre più diffuse quando si parla di sviluppo urbano o territoriale ma che spesso vengono utilizzate in maniera intercambiabile per indicare invece operazioni molto diverse tra loro. Non aiuta a chiarire il quadro che a occuparsi di queste attività – con fini e modalità molto differenti – possano essere enti pubblici, gruppi immobiliari, grandi marchi e anche una costellazione di piccole associazioni indipendenti particolarmente attente alla cultura.

    Ed è proprio con l’obiettivo di fare network tra queste realtà sparse su tutto il territorio che, nel luglio 2020, è nato Lo Stato dei Luoghi, una rete composta – come si legge sul sito – da attivatori di luoghi e gestori di spazi che rappresentano esperienze di rigenerazione a base culturale nel nostro paese: “Per noi l’aspetto cruciale è quello della rigenerazione, non quindi riqualificazione infrastrutturale, quanto creazione dei contenuti che andranno a riempire lo spazio”, spiega a cheFare Roberta Franceschinelli, vicepresidente del direttivo temporaneo de Lo Stato dei Luoghi. “Vogliamo che la rigenerazione abbia un’idea ben precisa, per evitare – com’è accaduto spesso – che uno spazio venga recuperato senza sapere prima che cosa quel luogo debba diventare. Il rischio è di creare cattedrali bellissime ma che dentro restano vuote, perché nessuno ha chiesto alle persone che abitano quel territorio di che cosa avessero bisogno. Magari si crea una biblioteca dove invece serviva un circolo Arci che fa musica”.

    L’altro rischio è di dare vita a luoghi che snaturano il territorio che li ospita o che mettono in moto il meccanismo della gentrificazione, sottraendo lo spazio alla stessa comunità che vive in quel territorio: “Il pericolo della gentrificazione è sempre dietro l’angolo, perché quando crei spazi che iniziano a funzionare anche dal punto di vista economico si rischia di minare l’anima del luogo”, conferma Roberta. “L’antidoto, per come la vedo io, è creare luoghi pensati per il contesto in cui si vanno a inserire, ideandoli con la comunità che vive in una determinata zona. È questa l’idea di rigenerazione che portiamo avanti”.

    Una visione della rigenerazione diversa da quella che, per esempio, ha dato vita a Milano alla Fondazione Prada: “Per noi è fondamentale il coinvolgimento della comunità, attraverso una cultura collaborativa che è nel DNA stesso dei centri rigenerati. Milano, poi, è un caso particolare: molti dei luoghi che la nostra rete rappresenta hanno una valenza territoriale diversa e sorgono anche nelle città medio-piccole, che rappresentano la maggioranza dei centri abitati italiani”.

    Lo Stato dei Luoghi inizia a prendere forma nel 2017, durante un’iniziativa a sostegno del Farm Cultural Park di Favara, provincia di Agrigento: “È lì che abbiamo iniziato a confrontarci e a pensare di mettere in piedi un’organizzazione che portasse avanti istanze di questo tipo”, racconta Roberta Franceschinelli. “Ci siamo resi conto che, nella totale diversità geografica e dei settori artistici e culturali, c’erano comunque problematiche simili. Mettersi assieme diventa quindi una fonte di ricchezza. Come sempre quando si tratta di volontariato, non siamo riusciti subito a decollare. Un momento fondante però è avvenuto a dicembre dello scorso anno a San Sepolcro, in Toscana: siamo riusciti ad aggregare alcune associazioni che si occupano di rigenerazione e abbiamo lavorato al manifesto, definendo la nostra visione, i nostri obiettivi e in cui evidenziamo l’importanza di creare centri culturali che siano il frutto di un processo di rigenerazione e riattivazione di luoghi abbandonati o dimenticati, in cui l’accento è posto sul contenuto che si va a inserire”.

    Favorire la messa in connessione di tutte le realtà che si occupano di rigenerazione

    Obiettivi che vanno oltre la necessità di aggregare gli spazi e le persone che si occupano di rigenerazione, e che puntano anche ad abilitare forme di contatto con le amministrazioni comunali e non solo, a dimostrare il ruolo di redditività civica di questi spazi, a sviluppare nuovi servizi e altro ancora. “Ci siamo da poco costituiti ufficialmente come associazione con sede legale al Mare Culturale Urbano di Milano, con la consapevolezza che il tema della rigenerazione in questo momento è molto caldo ed è quindi importante essere formalmente riconosciuti e riconoscibili”.

    Le organizzazioni che hanno aderito sono già svariate decine: Mare Culturale Urbano, Ecomuseo Mare Memoria Viva, Avanzi, Indisciplinarte, Amigdala, Farm Cultural Park, CasermArcheologia e tantissimi altri. Il percorso per arrivare fino a qui è stato ovviamente accidentato, soprattutto a causa della pandemia. Tra i progetti già in essere c’è però, per esempio, l’Alfabeto Pandemico: un lessico online che analizza “come sta cambiando la percezione dello spazio comune” durante l’emergenza sanitaria che stiamo affrontando.

    Nel breve e medio termine, conclude Roberta, lo scopo è “favorire la messa in connessione di tutte le realtà che si occupano di rigenerazione, comprese quelle che operano magari nelle zone più periferiche del paese. Dobbiamo stabilire chi siamo, quanto contiamo e quanto valore produciamo. Dopodiché, vogliamo dare il nostro contributo alle politiche elaborate nel settore culturale, sociale e del patrimonio, radicandoci a livello locale e agendo anche a livello nazionale. Allo scopo di far riconoscere a questi centri il loro decisivo valore territoriale e comunitario”.

    Note