Venerdì 04 dicembre 2020
Le proposte per salvare i centri culturali - cheFare e il ruolo dei nuovi centri culturali su Il Corriere della Sera
Scritto da:
cheFare
Fonte:
Corriere della Sera

Bertram Niessen, direttore scientifico di cheFare, in dialogo su Il Corriere della Sera per parlare dei nuovi centri culturali in Italia e per definire il loro ruolo anche in relazione a quest'ultimo anno di emergenza sanitaria.
I nuovi centri culturali sono il luogo di incontro di reti, comunità e organizzazioni nate in risposta alla crisi economica. Portano avanti pratiche culturali collaborative basate sulla partecipazione e sull’attivismo, nelle città e nelle campagne, al Sud come al Nord, costruendo spazi di confronto. Sono makerspace, biblioteche sperimentali, luoghi rigenerati, community hub e residenze d’artista, presidi fondamentali della sperimentazione dei linguaggi, delle passioni civili e dell’attivismo di base. Attraversati da centinaia di migliaia di persone, costituiscono un mondo ancora in parte poco conosciuto, poco studiato e poco raccontato, sono spazi di prossimità il cui ruolo fondamentale è ancora più evidente nella crisi pandemica del 2020.
Negli ultimi dieci anni i nuovi centri culturali sono proliferati e oggi sono nell’ordine delle migliaia. «Ma moltissimi di questi spazi rischiano di dover chiudere a causa del Coronavirus, disperdendo non solo le decine di milioni di euro di investimenti fatti finora dal pubblico e dai privati, ma anche i capitali sociali e culturali accumulati con fatica nel corso del tempo oltre alle migliaia di lavoratori coinvolti», continua Niessen.
I nuovi centri culturali sono il luogo di incontro di reti, comunità e organizzazioni nate in risposta alla crisi economica. Portano avanti pratiche culturali collaborative basate sulla partecipazione e sull’attivismo, nelle città e nelle campagne, al Sud come al Nord, costruendo spazi di confronto. Sono makerspace, biblioteche sperimentali, luoghi rigenerati, community hub e residenze d’artista, presidi fondamentali della sperimentazione dei linguaggi, delle passioni civili e dell’attivismo di base. Attraversati da centinaia di migliaia di persone, costituiscono un mondo ancora in parte poco conosciuto, poco studiato e poco raccontato, sono spazi di prossimità il cui ruolo fondamentale è ancora più evidente nella crisi pandemica del 2020.
«Già durante la prima fase del Covid, in molte parti d’Italia i nuovi centri culturali hanno costituito la centrale operativa per forme di solidarietà di base che si sono organizzate per portare una risposta ai gruppi sociali più colpiti», dice Bertram Niessen, presidente dell’agenzia culturale cheFare. «Non si tratta solo di solidarietà materiale, come punti logistici per la raccolta e la distribuzione dei beni necessari, ma anche di supporto e sviluppo di progetti sempre più indispensabili a fronte delle disuguaglianze accentuate dal Coronavirus».
Negli ultimi dieci anni i nuovi centri culturali sono proliferati e oggi sono nell’ordine delle migliaia. «Ma moltissimi di questi spazi rischiano di dover chiudere a causa del Coronavirus, disperdendo non solo le decine di milioni di euro di investimenti fatti finora dal pubblico e dai privati, ma anche i capitali sociali e culturali accumulati con fatica nel corso del tempo oltre alle migliaia di lavoratori coinvolti», continua Niessen.
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