Giovedì 27 febbraio 2025
Architetture istituenti
 
La dimensione spaziale dei processi rigenerativi

Questo è il terzo di una serie di articoli sul tema della rigenerazione urbana. Leggi qui il primo articolo di Claudio Calvaresi. Leggi qui il secondo articolo di Roberto Arnaudo. 


Domenica 9 marzo a Gagliano Aterno, sull’Appennino abruzzese, inauguriamo gli spazi del Convento di Santa Chiara, primo avamposto fisico del progetto rigenerativo e di neopopolamento iniziato nella primavera del 2021, che ha fatto diventare questo paese un punto di riferimento per tutte le aree interne e montane del Centro Italia.


Precedentemente pensato come una sorta di resort turistico, questo spazio (per secoli Monastero di clausura, poi Caserma della Guardia forestale, infine chiuso per i danni del sisma del 2009) diventa bene della comunità per la prima volta nella sua lunga storia, il suo programma funzionale piegato agli obiettivi del percorso di rigenerazione: oltre i rinnovati locali del Municipio, un emporio (da anni mancava un negozio in paese), spazi per la produzione culturale e per la scuola di neopopolamento NEO giunta alla terza edizione, un ristorante, un ostello popolare. È solo il primo tassello di un più vasto progetto di reinfrastrutturazione sociale, economica, di welfare che prenderà corpo nei prossimi anni, con il recupero della rimanente porzione del Convento, e la realizzazione del Centro operativo comunale (edifici normalmente chiusi e destinati solo alle emergenze), qui pensato negli usi quotidiani come nuova Casa della comunità.


La cosa importante, da sottolineare, è come il percorso di ricostruzione post sisma sia stato piegato alle ragioni di rivitalizzazione del paese, uscendo dalla mera logica della riedificazione materiale. Non solo. Il processo di reimmissione del Convento nella vita di Gagliano è stato accompagnato da un lavoro partecipativo che ha portato, mentre procedeva il cantiere di recupero, alla definizione delle attività da inserire nella struttura e alla scelta dei soggetti che la gestiranno. Il Convento apre, e tutti sono pronti ai loro posti di combattimento. Non capita sovente.

Il Centro culturale Lou Pourtoun a Ostana (ph. L. Cantarella)

Quello che stiamo sperimentando qui, insieme all’amministrazione guidata da Luca Santilli, al gruppo di antropologi attivisti di Montagne in Movimento, alla comunità di vecchi e nuovi abitanti, viene da lontano. Antonio, insieme ad altri, ha realizzato progetti come la Casa di Quartiere Cascina Roccafranca a Torino e il Centro culturale Lou Pourtoun a Ostana. Laura diversi progetti rigenerativi a Venezia (DD Social, Crocevia Piave, ecc.) dove lo spazio diventa elemento centrale del processo di rigenerazione.


Insieme abbiamo costruito lo spazio delle Casermette di Moncenisio in valle di Susa, e insieme stiamo lavorando a Dossena in val Brembana, a Castel del Giudice in alto Molise e in tanti altri territori, sempre con l’obiettivo di costruire spazi ibridi, retrovie edificate, luoghi scambiatori, capaci di dar consistenza fisica alle azioni di ricostruzione di welfare e economie, di innovazione sociale a base culturale.

Non è solo, come si dice sempre, che è stato fatto il contenitore senza pensare al contenuto. C’è qualcosa di più. Sono spazi indifferenti, a catalogo, non esito di un processo allargato e d’insieme.

Si dice sempre che le comunità, le persone devono venire per prime. Giustissimo, ma personalmente coltiviamo un’idea un po’ più articolata e diversa. Uscendo dalle tradizionali dicotomie oppositive, crediamo che fatti sociali e fatti fisici debbano procedere insieme. Le tante strutture realizzate negli ultimi decenni con finanziamenti europei e pubblici, e drammaticamente chiuse, sono la rappresentazione plastica di qualcosa che non ha funzionato. Non è solo, come si dice sempre, che è stato fatto il contenitore senza pensare al contenuto. 


C’è qualcosa di più. Sono spazi indifferenti, a catalogo, non esito di un processo allargato e d’insieme che produce e persegue necessità e desideri, ma semplici cascami di processi che separano il fare fisico dal fare sociale, verticalizzandolo in un processo autoreferenziale basato essenzialmente sul rispetto di norme, codici degli appalti, tempi da rispettare. Progettualità non pertinenti, mentre le categorie dell’appropriatezza, della pertinenza ci pare dovrebbero essere alla base di qualunque percorso rigenerativo e di ricostruzione di comunità, economie, welfare, culture. Fino a quando non si modificherà quella separatezza, quella verticalizzazione, una discreta parte degli spazi edificati resterà chiusa e abbandonata, avendo saputo rispondere solo alla propria conformità (per carità, necessaria ma assolutamente non sufficiente) normativa e procedurale.

Le Casermette di Moncenisio (ph. E. Schiari)

Ma c’è ancora qualcosa in più. Per tentare di esprimerlo ricorriamo a una bella e efficace immagine del nostro amico Giovanni Teneggi, che molto ha fatto lungo le montagne italiane per diffondere l’idea e le pratiche del cooperativismo comunitario. Giovanni parla di pietre che si sovrappongono l’una all’altra, nell’atto costruttivo e intenzionale di un gruppo di persone, come di Architetture istituenti. Edificazioni che non solo conferiscono spessore, consistenza ai mille fili e alle mille reti vicine e lontane, metromontane, che i processi rigenerativi innescano, ma che hanno il potere di istituire la (nuova) comunità, sacralizzandola, conferendole forma, determinandone rituali e valenze simboliche. Costruiscono radure dove potersi riunire, dialogare, pensare e realizzare nuovi progetti di valenza collettiva. Non sempre questo avviene: sovente lo spazio resta una mera traduzione funzionale – una sorta di derivata seconda – delle istanze del processo rigenerativo. Altra cosa è invece quando persone e cose (case) interagiscono modificando vicendevolmente la propria fisionomia. 


La rigenerazione di Ostana certo esisterebbe anche senza Lou Pourtoun, ma è questo spazio – vera e propria chiesa sacra e laica – che celebra il rito della rinascita, configurandola e strutturandola, dandole un volto. Perché la spazialità della rigenerazione non solo deve avere i tratti necessari della contemporaneità, ma deve anche saper esprimere e rappresentare uno scarto e una discontinuità rispetto alla storia del luogo, mentre troppo spesso si pensa che siano sufficienti le pratiche d’uso a caratterizzare i processi, e che anzi in un paese, in un’area interna e montana, la fisicità e l’immagine delle cose debba essere il più possibile in continuità con quanto preesisteva. 

Il Teatro montano di Dossena (ph. A. De Rossi)

Oggi – come si evince dalle tante esperienze e sperimentazioni in atto sulle montagne italiane, ma anche nei territori metropolitani – il tema degli spazi culturali e di welfare per le comunità locali e territoriali non può più essere confinato solamente a una dimensione (difensiva) di organizzazione e erogazione di servizi, ma deve diventare sempre di più un vettore attivo dei percorsi di rivitalizzazione e rigenerazione.


Le infrastrutture culturali, i servizi di supporto alle persone e alle famiglie, le strutture formative e per l’infanzia, le attività connesse alla salute e al welfare, l’housing sociale a sostegno dei processi di neopopolamento, ma anche gli spazi di coworking e gli incubatori di nuove economie locali, le strutture commerciali necessarie all’abitabilità dei luoghi, visti quindi non solo in un’ottica di garanzia e offerta di fondamentali servizi di cittadinanza, ma soprattutto come dispositivi di innovazione sociale e generativi di nuove forme di socialità, economie, culture, competenze tecnico-amministrative.

È un cambio di punto di vista che può essere davvero rilevante: luoghi che non solo offrono servizi, ma che attivano e producono nuove forme di fare comunità, di welfare, di imprenditorialità.

È un cambio di punto di vista, misurabile come si diceva nelle sperimentazioni in atto, che può essere davvero rilevante. Luoghi che non solo offrono servizi, ma che attivano e producono nuove forme di fare comunità, di welfare, di imprenditorialità, di conoscenza e di saperi territoriali. Spazi eccentrici, fuori dalla tradizionale dialettica tra centri e periferie. E che soprattutto possono funzionare da straordinari acceleratori e moltiplicatori dei processi di rigenerazione.



Crediti progetti

Centro culturale Lou Pourtoun M. Crotti, A. De Rossi, M.-P. Forsans, Studio Gsp
Casermette A. De Rossi, L. Mascino, E. Schiari, M. Tempestini, M. Guiguet
Teatro Montano Werk (V. Tolve, M. Noris, L. D’Onofrio, C. A. Lauria), A. De Rossi, L. Mascino
Scatola Creativa R. Levrieri, A. De Rossi, L. Mascino, F. Serra, M. Tempestini, L. Servillo

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